Su Fabien incombe la fatalità della frustrazione e dello scacco. La sua vita, destinata a trascorrere fino al termine dei giorni in un vuoto d’esistenza, è bloccata in una routine tetra e opprimente, ma un incontro ne cambia inaspettatamente il corso travolgendola verso un esito distruttivo. Egli accetta il dono di Brittomart (rinnovata incarnazione del tentatore): il potere di dismettere il proprio io, che equivale istantaneamente a divenire l’altro, chiunque egli desideri essere, corpo e anima, trasformandosi di volta in volta nell’amante che vive un amore impossibile, nell’omicida che uccide la propria vittima, nell’uomo comune, nell’eroe.
Più che al metodo dell’analisi psicologica, praticato, se non esasperato da Proust, in questo romanzo (uscito per la prima volta nel 1947) Green ricorre alla psicologia spirituale – tutti i personaggi sono in vari modi dominati e agiti da una forza misteriosa ad essi estranea – e all’allegoria. Qui la sua visionarietà, cifra stilistica che lo distingue da scrittori suoi contemporanei per molti versi a lui affini (Bernanos, Mauriac, Martin du Gard), si dispiega potentemente, senza virtuosismi né tecniche sofisticate, ma attraverso una lingua all’apparenza tradizionale e sommessa, e però in grado di materializzare l’inesistente.