SCRITTORE, sceneggiatore con Federico Fellini, regista, già docente
universitario, Ermanno Cavazzoni ha la capacità di raccontare il nostro
mondo come se fosse un altro, o altri mondi come se fossero il nostro. E
sempre con uno sguardo ironico, critico, che fa sorridere e pensare.
Come avviene leggendo "La valle dei ladri" (Quodlibet), riedizione di
"Cirenaica", un romanzo uscito nel 1999, ora di nuovo in libreria con
piccole variazioni e col titolo originario. Racconta di persone che
vivono in una città, Bassomondo, da cui pare impossibile uscire.
Cavazzoni, cos'è il Bassomondo?
"È una sensazione. Quella che ho di essere capitato sulla terra per
breve tempo e per sbaglio. Qui ci si sente sotto osservazione, come se
vivessimo per dare spettacolo agli dèi, se siamo credenti, o per
partecipare a una farsa in un teatro vuoto, se siamo atei. E senza
riuscire a uscirne, se non alla fine".
I suoi personaggi sono ladri e imbroglioni. Ci vede così?
"Sono dei reietti, che è la condizione umana, tra falsità e bugia.
Proviamo a cavarcela in un mondo in cui per forza si è truffatori,
ladri, bugiardi. È una condizione di natura, e tutte le cose nel
Bassomondo sono portate all'estremo".
La condizione umana è anche risibile, come quella dei vacanzieri nel suo film "Vacanze al mare".
"Sì, è un film nato grazie ai filmini privati raccolti dall'Archivio
Home Movies di Bologna, e riflette sulle vacanze: un fenomeno recente,
del secondo '900. Prima solo in pochi, e per motivi terapeutici,
andavano in spiaggia ben coperti, poi è diventata una cosa di massa e
tutti pensano sia sempre stato così, e che sarà sempre così, ma non è
detto: come le parrucche barocche sparirà anche questo, e anche l'amore
per quei luoghi tropicali che vendono paradisi da consumare in terra".
Parlando di paradisi, Bassomondo sembra quasi un aldilà.
"Un aldilà ma in senso platonico. Non un dopo-morte, ma un momento prima
di venire al mondo, in cui si acquisiscono quelle caratteristiche che
oggi sono considerate l'eredità genetica. E dove ricevi un imprimatur.
Così ad esempio ami una donna perché ti sembra di riconoscerla, come
l'avessi vista prima di nascere, come avviene al mio protagonista nel
finale".
Il finale del romanzo è alla stazione di Milano, dove tutto comincia con il ritrovamento di un dattiloscritto.
"Il ritrovamento è un classico della letteratura, e ho immaginato che
fosse scritto da un "disoccupato", parola che mi fa pensare non solo al
problema lavorativo: "disoccupato" è anche un termine per inserire nelle
statistiche i "barboni", reinserendoli nel circuito sociale. Il che non
è sempre un bene. Viviamo in un quadro politico, tecnologico,
burocratico e sociale pervasivo, da cui la fuga è impensabile, in cui è
ad esempio impossibile essere eremiti. Ma sono cose di cui parlerò, con
testi tra il racconto e il finto saggio, nel libro che esce a fine anno
per Guanda, "Il pensatore solitario"".