Recensioni / Mosca-Petuskì

Vodka, birra, acqua di colonia, lucido da scarpe... qualsiasi sostanza «alcolica» andava bene per essere trangugiata dalla pancia inquieta di Erofeev, il più eversivo artista dell'Urss che visse e morì (ne11990) nei bassifondi del socialismo reale, sbandato, spesso disoccupato, consolato solo dal bere e dallo scrivere.
Questo romanzo uscì in samizdat negli anni 70 e conquistò milioni di lettori per l'immagine ferocemente satirica e disperata di un paese a pezzi e dell'homo sovieticus nient'affatto redento dalla rivoluzione marxista. Il viaggio in treno di 130 km tra Mosca e Petuskì, scandito dalle stazioni ferroviarie in cui nessuno acquista il biglietto, si trasforma in monologo interiore sulle sbronze, l'alienazione del lavoro (nel paradiso dei lavoratori al potere), il male di vivere, la solitudine, l'amore per il mondo che «ci ha imposto Dio morendo in croce». Tra Bukowski e Joyce, un surreale materialismo etilico che riduce la storia russa a una lotta di bevute più che di classe. Un felice ritorno nelle librerie italiane (già esisteva da Feltrinelli) nella nuova, rutilante traduzione di Paolo Nori.

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