Recensioni / La Russia di Saltykov-Šcedrin nella trappola dell'ipocrisia

Iuduška, "piccolo Giuda". Ma anche Sanguisuga o Bimbo Sincero, che poi è un modo arguto per dargli del bugiardo cronico. Sono gli appellativi con cui i familiari si riferiscono a Porfirij Vladimiryc, uno dei figli cadetti di casa Golovlév. Sarà l’unico a sopravvivere ai fratelli, invece. E ad arricchirsi, come aveva sempre desiderato. Condannato a scontare fino in fondo la sua metodica infelicità, Iuduška è il personaggio centrale dei Signori Golovlëv, capolavoro riconosciuto di Michail E. Saltykov-Šcedrin (1826-1889). Il romanzo apparve per la prima volta nel 1880, mentre Dostoevskij stava pubblicando l’ultima parte dei Fratelli Karamazov, e viene ora riproposto nella classica traduzione di Ettore Lo Gatto da Quodlibet, la casa editrice di Macerata che già lo scorso anno aveva riportato in libreria il corposo Fatti d’altri tempi nel distretto di Pošechon’je. Saltykov-Šcedrin è un scrittore che in passato ha goduto di buona notorietà anche in Italia e che oggi è invece assai meno apprezzato di quanto meriterebbe. Come Leskov, Nekrasov e molti autori di quell’Ottocento russo, sul quale svettano le ingombranti personalità di Tolstoj e del già ricordato Dostoevskij. Nella fattispecie, Saltykov-Šcedrin può rivendicare una certa parentela con il Goncarov di Oblomov e più ancora con il Gogol’ delle Anime morte: stessa ambientazione provinciale, stessa acutezza di osservazione e, all’occorrenza, stessa ferocia nel tratteggio dei personaggi. Di suo Saltykov-Šcedrin aggiunge la propensione ad articolare il racconto in strutture calibrate con cura. Dei sette capitoli che compongono il romanzo, infatti, ciascuno corrisponde a un periodo o a un episodio ben determinato, se non addirittura a un singolo membro della famiglia protagonista. Il contrasto con i Karamazov non potrebbe essere più evidente: Dostoevskij procede per accumulo e allusione, mentre Saltykov-Šcedrin si attiene a un disegno delineato con esattezza. Il risultato, però, non ha nulla di meccanico. A risaltare è semmai l’ineluttabilità del destino che attende i Golovlév, esponenti della piccola nobiltà terriera le cui sorti sono messe a repentaglio dall’abolizione della servitù della gleba (1861). Padroni e padroncine che spesso guardano sconsolati dalla finestra, cercando di decifrare il significato delle macchie scure che si profilano all’orizzonte: si tratterà di un villaggio, di un convoglio di contadini, magari di una slitta che porta notizie di sventura? Le pagine memorabili non mancano. Sono quelle che descrivono il declino di Arina Petrovna, la spietata «mammina» che soggioga i figli alla propria avarizia, ma anche i capitoli che seguono la giovane Annin`ka nella dissipazione del demi-monde teatrale. L’ipocrita Iuduška incrocia i destini di tutti e di tutte, fedele soltanto alla sterile messa in scena di una devozione che non ha nulla di autentico, nulla di spirituale. La vodka si porta via gli altri fratelli, ma per spacciare lui ci vorrà un’ubriachezza d’altro genere, una fantasticheria del denaro e della "roba" che basterebbe, da sola, per assicurare a Saltykov-Šcedrin un posto di riguardo tra i giganti del romanzo.