Le pene di Manganelli in frac al Nobel e i vantaggi dell'invisibilità
Roma. Non passa giorno, ormai, che non rechi con sé un apocrifo di Elena
Ferrante pubblicato da qualche quotidiano, al quale segue subitanea
smentita della sua casa editrice, la e/o, unica abilitata a trasmettere
il pensiero e le missive della scrittrice non visibile. E' soprattutto
grazie a questo genere di amenità che la febbre dello Strega (dopo tanti
anni ormai ridotta a semplice raffreddore di stagione, breve seppur
virulento) sta salendo a temperature inusuali per il periodo ancora
invernale, mentre il traguardo di luglio è ancora molto, molto lontano.
Ma ormai è fatta: l'autrice della quadrilogia dell'"Amica geniale"
parteciperà al premio letterario più chiacchierato d'Italia. E magari
vincerà, con ciò restituendogli se l'è detto da sola su Repubblica, in
una delle comunicazioni autorizzate e certificate dalla e/o trasparenza,
senso e nuovo lustro.
Comunque finisca, abbiamo capito che la Ferrante non la vedremo nemmeno
stavolta. E a lei sarà ancora una volta risparmiata l'incresciosa
incombenza della scelta di un abito per la soirée (è uno dei sicuri
vantaggi dell'invisibilità). D'accordo, quello dello Strega sarà pure un
palcoscenico alieno da ogni etichetta la seratona finale ricorda sempre
un night club all'aperto di inizio anni Sessanta ma è pur sempre un
palcoscenico. E un animo refrattario agli esibizionismi soffre molto,
all'idea di mettersi in ghingheri (e un po' in maschera) per una
qualsiasi cerimonia. Fino a che punto, non lo si può capire se non
leggendo ciò che a Giorgio Manganelli capitò a Stoccolma, quando fu
invitato ad assistere alla cerimonia del Nobel. L'articolo che trasse da
quella conturbante esperienza, pubblicato sull'Espresso nel 1975, entrò
a far parte di "Antologia privata", il libro uscito nel 1989 nel quale
Manganelli, che sarebbe morto l'anno successivo, aveva raccolto ciò che
preferiva tra tutto quel che aveva scritto (il libro è stato
ripubblicato da Quodlibet, 266 pagine, 16,50 euro).
Al Nobel, Manganelli era un semplice invitato: le uniche cose che vinse
furono, nel 1957, il concorso per diventare insegnante di ruolo di
inglese nelle scuole superiori, e nel 1979 il Premio Viareggio, con il
bellissimo "Centuria", pure contentuto in "Antologia privata". Eppure,
quella che doveva essere una interessante escursione nei misteri del
premio dei premi e nei suoi rituali
antropologici, divenne per Manganelli un incubo, proprio per colpa del
vestito da indossare: "Quando mi si propose di andare ad assistere al
Nobel, apparve subito il problema del frac". Si era illuso di farla
franca, dato che il frac serviva solo per gli invitati alla cena che
segue alla premiazione vera e propria? "Ma non avevo fatto i conti col
monotono senso del dovere degli svedesi.
Essi trovarono il posto a tavola il numero novecentoventi e da quel
momento il frac era indispensabile; ora, io non ho mai messo il frac,
tanto meno posseduto; e da Svezia a Roma vi fu un febbrile scambio di
telefonate, non esenti da panico, attorno al problema del reperimento
del frac". Manganelli se ne procura uno a noleggio, e quando, aiutato
dal commesso, lo indossa
e si specchia, è come se si vedesse per la prima volta: "Per fare un
uomo a quel modo c'erano voluti un generale vittorioso, un vescovo, un
finanziere, un gangster degli anni trenta e tre parti di Charles Boyer".
L'euforia dura poco. In albergo, al momento di mettersi sparato,
giubbetto, calzini, giacca e cravattino (e al momento di infilare
migliaia di bottoni dentro altrettante asole), Manganelli sfiora il
collasso (gli succedeva di avere crisi terribili di ansia per molto
meno). Poi, chiamato in soccorso il portiere dell'albergo, "al terzo
tranquillante ero pronto a entrare nella sala del Nobel". Troppo tardi
per capire che "ulteriore supplizio, per il vergine del frac", è l'amara
constatazione che comanda lui, il frac, e non l'essere umano che vi è
contenuto.
Non sono ammessi i soliti movimenti, perché quel "misterioso vestito
extraterrestre? ubbidisce a regole che gli sono del tutto proprie".
Così il grande Manganelli. Chissà come se la caverebbe, invitata al Nobel (da premiata, s'intende) l'invisibile Ferrante.