Recensioni / Il libro del mese: Luigi Malerba

Un buon anno, quello appena terminato, per la riscoperta di Malerba, sublime penna, tra le più sublimi e insieme caustiche del secondo Novecento italiano, passato a miglior (?) vita nel 2008. Quodlibet ha infatti riportato in vita Le galline pensierose, uscito in prima battuta nel 1980 per Einaudi, ampliato da Mondadori nel '94 e ulteriormente aggiunto di 9 storie nel 2008, poco prima della morte. Si tratta di un libro, letteralmente, indescrivibile. Prose brevi? Certo. Brevissime anche, e tutte compiutamente (micro)narrate. Situate in un pollaio-mondo popolato di galline che, come e peggio degli uomini, pensano decisamente troppo, e con risultati catastrofici, quindi inesorabilmente comici. Si delinea così una spietata filosofia del pollaio che, con un tocco stilistico di una levità madornale (che solo un totale anaffettivo potrebbe scambiare per sciatteria, ed è invece lavoro di finissima pialla e calibro) strappa risate – anche a denti scoperti – per poi stilettare con spilli di durissima, perfetta tristezza dell'esistere. Un piccolo esempio, al numero 54: Una gallina filosofa guardava un sasso e diceva: "Chi mi dice che questo è un sasso?". Poi guardava un albero e diceva:"Chi mi dice che questo è un albero?". "Te lo dico io", rispondeva una gallina qualsiasi. La gallina filosofa la guardava con compatimento e domandava: "Chi sei tu che pretendi di dare una risposta alle mie domande?". La gallina qualsiasi la guardava preoccupata e rispondeva: "Io sono una gallina". E l'altra: "Chi mi dice che tu sei una gallina?". Dopo un po' la gallina filosofa si trovò molto sola. Se c'è un libro che può dimostrare come frammentarietà e coesione non siano termini in contraddizione, con buona pace dei principi aristotelici, è proprio questo. Bastano un paio di pagine per sprofondare nel pollaio e, una volta finito, porsi dei seri dubbi sulla consistenza reale del proprio mondo. Pagine infinite, si potrebbe dire. Che viene voglia di riaprire ancora, ciclicamente, perché in qualche modo azzerano la linearità principio-fine, creando un'oasi temporale del tutto parallela. Come dovrebbero tutto le zone franche del pensiero, che accolgono la vertigine e l'agio della familiarità nello stesso abbraccio. Una vertigine a tratti scopertamente metafisica, anche se continuamente camuffata nel dimesso, nel lieve, nell'inutile appunto, forse invece da questi denudata, è quella dei Consigli inutili, testi per lo più inediti, lavorati dagli anni '90 al 2008. Prosa breve anche qui, sebbene di respiro un po' più ampio, e dal tono apertamente gnomico-trattatistico, ma con la voce, un po' paterna, dei trattati morali dell'antichità, depurati invece dell'eventuale paternalismo. Un registro di pacata serietà applicata alla più formidabile – e ardua – delle materie: l'inutile. Vale la pena di ascoltare un frammento della prefazione: Sarà opportuno dunque rivedere il conteggio dei valori che ci opprimono quotidianamente. Perché mai dobbiamo dare addirittura un posto privilegiato al lavoro quando tutti sappiamo che l'ozio è il massimo produttore di idee e quindi di civiltà. E che cosa mai dire della ricerca universale della felicità quando ogni persona assennata sa quanto la felicità sia stata sopravvalutata dalla stessa letteratura che descrive in ogni momento gli infelici sensi della vita. Un testo che si presenta deliberatamente come sapienziale e che, saltando a piè pari la sua stessa ironia, lo è. Davvero. Un insieme di pagine brevi (o aforismi lunghi) dedicate ai campi più disparati (ferma restando la loro necessaria inutilità) dello scibile, dal fabbricare ombre alla coltivazione del fango, dalla memoria negativa alla differenza di consistenza tra coscia destra e sinistra del pollo ruspante, dal gusto delle formiche nei fichi alle inedite utilità del treno, concedendosi pure qualche stoccata critica: E le nuove scritture? Rimanete immobili e vi accorgerete che si allontanano da noi a velocità vertiginosa, sono subito archeologia. Dunque conviene ancorarsi alle riscritture o, se l'esercizio risulta ingrato, che si scrivano solo nuovi capolavori. Due libri da tenere sul comodino, da aprire alla fine dell'ennesima giornata che, con il senso, ha avuto palesemente poco a che fare. Non solo testimoni della vigorosa vitalità dell'ultimo Malerba, ma anche trampolino, per chi ancora non avesse avuto il piacere, per confrontarsi con l'opus magnum dello scrittore. Che tra le righe, pare così, lievemente, congedarsi: In questo mondo, con questa finzione della vecchiaia, mi alleno per quando non dovrò più fingere perché sarò vecchio veramente. Questo momento non è poi tanto lontano perché fra un mese compirò ottant'anni.