Giorgio Manganelli una volta ha detto una cosa che quando l'ho sentita
mi è rimasta impressa e mi è tornata poi in mente tantissime volte: che i
libri, ha detto Manganelli, non sono fatti di sentimenti, sono fatti di
parole. A me sembra di capirla così bene, questa idea di Manganelli, e
mi sembra che tutti quelli che scrivon dei libri guardino le parole con
la cura e l'interesse con i quali uno che fa, mettiamo, il muratore,
guarda un forato o un coppo.
Ecco, questa attenzione per le parole, mi sembra sia il centro di un
libro appena uscito per Quodlibet Compagnia Extra. L'autrice è Maria
Sebregondi (traduttrice di Queneau e di Perec, membro dell'O pieno, la
versione italiana dell'Oulipo, e inventrice dei taccuini Moleskine, c'è
scritto nella nota biografica) e il libro Etimologiario (pp. 114, euro 12) è un piccolo dizionario in ordine alfabetico-bustofredico (cioè si va dalla a alla zeta e poi si torna
dalla zeta alla a) a partire da «Allucinazione», la cui definizione è
questa: «allucinazione s. f. (der. del s. m. "alluce", primo dito del
piede) attività fantasmatica degli alluci.
Creature goffe e ipersensibili, da quando hanno perduto la loro antica
funzione prensile e sono confinati nel buio delle scarpe, continuamente
creano mutevoli visioni per farsi compagnia». Alla voce «Orologio» si
legge: «orologio s. m. strumento che informa delle ritmiche fluttuazioni
dell'oro. Talvolta d'oro esso stesso, mirabile coincidenza tra sostanza
e funzione, ci viene assegnato fin dall'infanzia affinché precocemente
apprendiamo che il tempo è denaro». Alla voce «Solitudine»: «solitudine
s. f. (derivato da "sol", quinta nota nella scala fondamentale di "do")
il suono costante a bassa frequenza, per l'appunto un sol (secondo altri
un sol diesis calante), prodotto dalle centrali elettriche, un manto
sonoro che avvolge la terra da circa un secolo. Raro sottrarsi; si è soliti coprirla con rumori più forti». Alla voce «Semaforo»: «semaforo
s. m. buco semantico. Un'assenza di significato riempita di colori e
celebrata a ogni incrocio. Il triviale totem viene onorato con una sosta pensosa del viandante». Alla voce «Ufficio»: «ufficio s.
m. (der. dell'inter. "uff' o "uffa") il doveroso atto dello sbuffare.
Per estensione: luogo preposto allo sbuffo individuale e/o collettivo,
provvisto in genere di ampi e pazienti scaffali ove si archiviano
stizza, noia e impazienza».
Mi è venuto in mente, leggendo questo Etimologiario, un libretto di qualche anno fa, uscito per Fandango a cura di Matteo B. Bianchi, Il dizionario affettivo della lingua italiana,
che è un dizionario composto dalle parole che un centinaio di scrittori
hanno scelto come le loro parole preferite, e in particolare le parole
scelte da Carlo Fruttero e Luciano Marrocu, mi son venute in mente. La
parola preferita di Fruttero è «Sfiga»: «Dalle misere macerie lessicali
del '68», scrive Fruttero, «emerge, unico fiore superstite, questo
geniale termine di italiano "volgare". La "s" privativa esalta la cosa
negata, massimo bene dunque dell'uomo, origine del mondo. Un vero e
proprio omaggio stilnovistico, che il Boccaccio avrebbe sicuramente
usato e con ogni probabilità lo stesso Alighieri». Marrocu invece ha
scelto «Sì». «È sì la parola che preferisco e che uso spesso quando
scrivo. Sì, parola chiave dell'assenso, della condivisione, della
generosità, dell'amore. (Orrenda, invece, l'associazione del sì con
assolutamente, il capolaresco assolutamente sì. Un'espressione tra
l'altro incongrua, mettendo insieme la granitica certezza di
assolutamente sempre sospetta di prepotenza e intolleranza con la
mitezza che si intuisce dietro il sì)».
Ecco, io, adesso, quando mi capita di scrivere una mail o un sms che
dice, semplicemente, «Sì», mi vien da pensare alla definizione di
Marrocu, e alla mitezza del Sì, che c'era anche prima ma che io non
riuscivo a vedere. Allo stesso modo, forse, d'ora in poi, quando vedrò
un bambino piccolo penserò al neonato di cui parla Maria Sebregondi nel
suo Etimologiario: «Neonato agg. sottoposto alle radiazioni
luminose del neon. Si applica per estensione ai soggetti appena venuti
al mondo: folgorati da luce improvvisa, difficilmente riescono a
riprendersi dal trauma».