Recensioni / Uno stufato e un timballo: Manganelli 30 anni dopo

Come Atreo mangiò, a sua insaputa, i figli "sbrodettati", trovandoli tra l'altro prelibati, così Giorgio Manganelli, nel 1989 (un anno prima di morire), fece della prole – ovvero la sua vasta produzione scritta – "uno stufato, un timballo, una legittima strage", sfornando una "Antologia privata" con le chicche e le ciliegine delle sue opere, da lui stesso scelte tra gli articoli per i giornali e i risvolti di copertina, i brani stralciati dai libri e alcuni discorsi tenuti ai convegni. Dopo quella prima e unica edizione per Rizzoli, la raccolta è stata finalmente, e recentemente, ristampata da Quodlibet, ma il manganello del signor Manganelli è sferzante e crudele come un tempo: dopotutto, l'Italia è la stessa di 30 e passa anni fa, sempre pronta a firmare appelli e indignarsi, salvo poi soffrire di "romanite, un caso raro e finora incurabile di troppopatia autistica megacefalitica". Anche gli intellettuali non brillano per acume, leggasi il "dialoghetto tra un viandante e un professore": all'autore non resta, pertanto, che errare solitario come "un orfano sannita", comporre un semiserio "lunario" e accontentarsi "di quella esperienza violenta, malsana, indispensabile, unica, che dà il semplice gesto di 'leggere i russi'... Lavorare alla letteratura è un atto di perversa umiltà".