Recensioni / Lateralità distopica

Di solito, sono gli altri a scegliere quali siano i tuoi migliori brani per farne un'antologia, e il più delle volte c'è da dire che questo capita quando tu sei anche già bell'e che morto. Autoantologizzarsi, invece, mettersi lì a scegliere una crestomazia degli episodi della tua scrittura che reputi più idonei di altri a rappresentare il percorso fin lì compiuto, averne l'occasione tra l'altro di farlo da vivo, è una faccenda perlomeno peculiare. Capitò nel 1989 a Giorgio Manganelli che raccolse, allora per Rizzoli, una congerie di brani, diversi per tutto fuorché che per la paternità, così da formare la sua Antologia privata, che la casa editrice Quodlibet ora ripubblica nella collana "Compagnia Extra". Vi sono raccolti stralci dei suoi libri, risvolti, ritratti minimi di questo o quell'altro scrittore, recensioni e articoli pubblicati per le varie testate per cui collaborava. Manganelli è l'unico logorroico le cui facezie, i tiri birboni e le celie venga la voglia di stare ad ascoltare. La sua guitteria è spettacolare: il lettore si trova ad assistere, stupefatto è riduttivo, alle giocolerie di una fantasia che disdegna la linea retta, l'ovvietà del suo andar diritta e che invece si innamora degli itinerari contorti, impervi, dove il tratto si fa ellissoide, acquisisce imprevedibilmente volume e poi ritorna punto. Ce l'aveva su con il divorzio perché rischiava di seppellire l'unica vera istituzione rimasta in Italia, e si riferiva all'adulterio; definiva i cani "angeli andati a male" e gli anonimi, quei "pacifici killer domestici che colpiscono con lire 50 di affrancatura", come la vera coscienza collettiva dal paese; tornando all'età scolare ricordava di aver "conosciuto i fasti dell'ultimo della classe"; e credeva agli Ufo perché da lui, di solito facile a cascare nelle psicosi collettive, ancora non si erano fatti vedere. Dal suo prismatico comprendonio estraeva a getto continuo le sorprendenti geometrie traiettorie che gli erano proprie e privatissime: molte di queste, in un censimento che in effetti solo lui avrebbe potuto prendersi la briga di realizzare, sono ospitate in questo meraviglioso scartafaccio magico che è l'Antologia privata. Dove egli allude, usa iperboli, figurazioni, si dà a contorsionismi grammaticali e giravolte linguistiche, mette in mezzo l'antimimetismo, la lateralità distopica, le invenzioni metafisiche, il paradosso, con uno stile splendidamente carnascialesco.
A vedere l'eterogeneità e la stravaganza di quel che faceva brillare il suo occhio di commentatore, questa Antologia privata è anche l'occasione per dimostrare finalmente che Manganelli era un picacista. Il termine "picacismo" deriva da pica che indica la gazza ladra, e diagnostica un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall'ingestione di sostanze che diremmo non propriamente nutritive. Terra, carta, gesso, legno, sabbia, chi più ne ha più ne metta. È spesso patito dalle donne in gravidanza. La curiosità di Giorgio Manganelli è ingorda ed eclettica ben oltre la cupidigia. Il rumore bizzoso di sottofondo dei telefoni, il fumo bandito dai ristoranti e le schiere di portaborse. Ne è assolutamente ammaliato. E intanto recensisce la Divina Commedia e Fratelli di Samonà, dà conto dell'esistenza a Stoccolma di una "fiorente industria del frac", per via della cerimonia del Nobel alla quale è bene non farsi trovare impreparati, e compila un rapido regesto delle ragioni per cui non firmare un appello. Lo spettro dei suoi interessi, dei suoi appetiti, è talmente largo che quasi lambisce i confini della sua intelligenza. E non si invelenisce mai, neppure a raccontare gli italiani, nonostante "solo gli irlandesi sono più patetici degli italiani, coi loro preti e la pesca del salmone". A volte, persino, si annoia. Ma la sua noia è pari a quella dell'ostrica, produce perle.