Recensioni / Un atlante dell'efferatezza

Dino Baldi è un filologo classico toscano, dal gusto spiccato per la spigolatura biografica, la diceria, l’elenco. Giustamente fortunato il suo esordio in una collana indubbiamente congeniale come «Compagnia Extra», nel 2010, con Morti favolose degli antichi (del successivo memoir greco al fianco di Marina Ballo Charmet, pubblicato presso Humboldt nel 2013, ci eravamo occupati qui). Ora nella medesima collana – in tempi di lodi sperticate e di giudizi acritici sul pontificato di papa Francesco e sull’anno giubilare in corso – ci offre un libro divertito e divertente sulla vita non certo esemplare dei successori di Pietro. Vite efferate di papi fa qualcosa di più e di meglio, però: da un lato evita accuratamente di costruire una delle molte controstorie del papato, dall’altro induce il lettore a riflettere sulla natura delle fonti da cui ha tratto il materiale e – almeno questa è la speranza – lo invita a muoversi più in profondità rispetto al livello della storia narrata. A risalire alla sua origine. Ma andiamo per gradi.
Scrivere un ennesimo «libro nero» sul papato, lo abbiamo detto, è qualcosa che non interessa al nostro autore: «Le controstorie del papato, né più né meno dei loro contrari […] sono pretestuose e fuorvianti come le etichette sugli scaffali delle librerie». Incappano insomma in ciò che contraddistingue le pubblicazioni cui vorrebbero opporsi: semplificazioni brutali e manicheismo spicciolo. Come se il bene se ne stesse acquattato tutto da una parte e il male da un’altra. Scorrendo le biografie dei vescovi di Roma (da Pietro a Pio IX, per «tenersi lontani dalle zone più impervie e paludose») emerge con limpida chiarezza come le cose non siano così semplici e facilmente separabili. Anzi, la negazione di questa dicotomia illusoria è uno dei leit-motiv del testo.
Il papa è, in questi anni, una strana e tutto sommato debole figura impegnata a conciliare l’originario ruolo di pastore d’anime con aperture mondane e appeal mass-mediatico nel disperato tentativo di tenersi al passo coi tempi (e, per inciso, il tentativo pare intrinsecamente fallimentare per la Chiesa che fa della «conservazione» la sua ragione di vita). Com’è noto, però, i pontefici hanno incarnato non di rado, nei lunghi secoli di dispotismo assoluto, vette di indicibile efferatezza e, più raramente e comunque per periodi molto limitati, di dolcissima umanità. È proprio questo il criterio con cui Baldi ha scelto sessantun papi tra i duecentosessantasei che si sono succeduti sul soglio di Pietro. Coloro che si sono distinti per smisuratezza e grandiosità nel bene e nel male sono diventati papabili, è il caso di dirlo, agli occhi dell’autore che li racconta con tono ammiccante e giocosamente indulgente.
Prima di essere un resoconto (tutt’altro che storiografico, ma su questo torneremo tra poco) del governo dei papi, il volume è dunque un’indagine sulla natura dell’uomo in specifiche condizioni di potere, e un affresco dei cambiamenti che tale natura subisce nell’imperioso sfarzo della curia, la quale non è che il prolungamento della corte romana nell’età della decadenza.
Già nel fondatore del papato scorgiamo l’affascinante e tragica ambiguità di cui sì è detto. Fu proprio Pietro, leggiamo, a pregare il Signore di paralizzare il corpo della sua bellissima figlia per proteggerla dalle insidie dei molti che la bramavano. E che dire poi di Stefano VI, che convocò un concilio passato alla storia col funereo nome di «sinodo cadaverico»? In quell’occasione il pontefice riesumò il corpo del predecessore Formoso, morto da nove mesi, per sottoporlo a regolare – si fa per dire – processo. Non fu da meno Gregorio VII, noto ai più per l’umiliazione di Canossa: per sbarazzarsi del figlio del prefetto Stefano, suo acerrimo nemico, lo fece rinchiudere in una cassa rivestita di mille aculei perché morisse dopo un tormento infinito. E potremmo continuare a lungo con gli esempi di spaventosa malvagità e di sadismo infernale. Del resto, il papa è da sempre vicino a Cristo e all’anticristo, dacché il suo seggio è naturalmente il più ambito dalle potenze ctonie. Non mancano poi vite sante di pontefici capaci di prendere sul serio la parola di Cristo, da Adriano VI (papa olandese che – udite udite – credeva veramente in Dio, e questo bastò per seminare il panico tra i romani, come ci ricorda anche il Berni nelle sue rime) a Celestino V cantato da Dante.
A rendere atipico e interessante Vite efferate di papi è però soprattutto la selezione operata sulle numerosissime fonti. Lo scrittore decide di basarsi quasi esclusivamente su materiale interno alla curia romana per cogliere storie e leggende – perché è massiccia la presenza di infondate calunnie e dicerie distanti anni luce dalla realtà, si pensi ad esempio alla mai esistita papessa Giovanna – prima che siano rese impersonali e inerti dal chirurgico rigore della scienza storica. Si tratta di scritti per nulla imparziali, è vero, ma impareggiabili per vivacità, freschezza, divertimento e crudeltà. Ecco, la crudeltà delle fonti fa il paio con quella degli stessi pontefici: vuoi per invidia dei compilatori o vuoi perché, in fondo, le nefandezze che i papi hanno potuto commettere sono le stesse che, in potenza, albergano in ciascuno di noi. O forse perché, semplicemente, chi scrive non può non essere crudele: «Forse la cattiveria delle fonti storiche è una delle tante forme che assume la crudeltà così intrinseca all’atto dello scrivere [...]».
In fin dei conti, conclude Baldi, il suo libro è solo un gioco. È un gioco, però, godibile e intelligente: col quale non si smette facilmente di giocare.