Recensioni / Una folla nel deserto degli eremiti

Oggi il fisco è un forte ostacolo per «stiliti», «ipetri» e altri meditatori isolati che proliferavano tra il III e il V secolo

 

Queste vite di eremiti sono cavate da libri un tempo molto conosciuti e diffusi in tutto l’Occidente; sono eremiti vissuti tra il III e il V secolo dopo Cristo; nelle zone dell’attuale Medioriente fatte di deserti sabbiosi o pietrosi, e montagne dirupate e aride. Fuggivano dal consorzio umano, specialmente dalle città, per vivere in solitudine col minimo indispensabile. Era un’epoca in cui questa fuga era possibile. Oggi un eremita non saprebbe più dove andare; non ci sono più luoghi senza proprietario e senza Stato che li controlli; un eremita oggi sarebbe soggetto al fisco, e l’eremitaggio una professione con iscrizione all’albo professionale, il reddito e le spese da documentare, e moduli da compilare con l’ausilio di almeno un commercialista.

Non è più possibile scappare. E di conseguenza anche i demoni che popolavano i luoghi deserti, si sono trovati disoccupati (minacciati essi pure dal fisco, nel caso siano considerati persone fisiche o associazioni); per venire alla fine scacciati dalle missioni archeologiche, dalle automobili, dai turisti, dai nuovi hotel e dai pozzi petroliferi, di cui non sopportano neppure l’odore.

Ho sempre letto queste vite con ammirazione e invidia, per quei tempi di libertà, di povertà volontaria non sindacalizzata, di avventure interiori e incontri fantastici straordinari (...). Numerose le stravaganze, specie negli eremiti siriani, che si davano regole particolari: c’erano gli ìpetri, che non avevano tetto e vivevano all’aria. Gli stiliti, in piedi su una colonna. Gli stazionari, immobili in una posizione, con pesi e catene addosso. E i reclusi, costretti in una tomba, in una cassa o in una cavità. Teodoreto di Ciro li paragona ad atleti, in lotta contro se stessi (...).

Or. Sul monte della Nitria ha vissuto Or: mangiava solo erba. Era analfabeta. Ma un giorno i confratelli gli diedero in mano un libro e lui lo lesse dall’inizio alla fine.

Beno. Eccelleva nella mansuetudine, né aveva mai detto una parola che fosse inutile. C’era lì attorno un ippopotamo che devastava i campi. I contadini chiamarono Beno, che venne dov’era l’ippopotamo; lo guardò fisso negli occhi e gli disse: «Nel nome di Gesù non continuare a rovinare queste terre». L’ippopotamo scappò via e non tornò mai più. Nello stesso modo Beno fece scappare anche un coccodrillo.

Teone. Visse nella sua cella presso Ossirinco per trent’anni in perfetto silenzio. Venivano a trovarlo molti ammalati; lui metteva fuori un braccio da un finestrino, poneva la mano sul capo e l’ammalato andava via sano. Una notte vennero i ladri, ma per via delle sue preghiere restarono incollati alla porta, senza riuscire a muoversi. Quando usciva e andava a bere lo seguiva una compagnia numerosa di bestie selvatiche; lui cavava l’acqua dal pozzo anche per loro. Apollonio. Si era ritirato nella Tebaide in solitudine a quindici anni e c’era rimasto per quarantacinque. «Signore – disse Apollonio – togli la presunzione dal mio cuore». Una voce disse: «Metti una mano sulla tua nuca e stringi». Apollonio mise la mano e vi trovò una specie di nano etiope che gridava: «Sono il demonio della superbia». Lui lo seppellì nella sabbia. In Egitto abbondano i monaci perché là abbonda l’empietà: gli egiziani venerano i cani e le scimmie, venerano l’aglio, la cipolla e l’insalata; oltre che il bue, l’acqua e la terra.

Padremuzio. Il presbiterio Coprete racconta che Padremuzio aveva molta cura e rispetto dei morti, che vestiva per bene; quando un giovinetto suo allievo morì, Padremuzio lo rivestì degli abiti funebri, poi gli chiese: «Ti bastano gli abiti o ne vuoi degli altri?» Il giovinetto davanti a tutti alzò la testa e disse: «Basta così». Tutti restarono attoniti e sbigottiti, mentre Padremuzio tranquillamente lo prese, lo seppellì e tornò al suo eremo. Eleno. Un giorno che aveva addosso un gran peso vide nel deserto una fila di asini selvatici. «Ehilà – disse – c’è qualcuno che mi dà una mano?» Un asino uscì dalla fila e si mise a disposizione di Eleno. Un giorno che doveva traversare il Nilo infestato da un coccodrillo, lo chiamò e il coccodrillo mansueto come un agnellino lo portò di là. Poi bastava che lo chiamasse e il coccodrillo veniva per traghettarlo. Ma nessun altro si fidava a montare con lui. Allora lo chiamò e gli disse: «Forse è meglio tu muoia, piuttosto che ti prenda la voglia di compiere ancora reati e omicidi». Così detto il coccodrillo si afflosciò morto.

Abba. Ha passato trentotto anni nel deserto; non si è mai messo le scarpe; quando

gela sta all’ombra, quando fa caldo d’estate sta al sole e considera i raggi infuocati come un soffio di zefiro. Si è sempre rifiutato di bere. Sta in piedi la maggior parte del giorno e della notte con una pesante catena sui fianchi; qualche volta in ginocchio. Quanto al dormire, vi ha rinunciato completamente e nessuno l’ha mai visto sdraiato.

Ascepsima. Stava chiuso in una casupola dove ha passato sessant`anni. Una volta la settimana, di notte, usciva per prendere un po’ d’acqua a una sorgente vicina. Un pastore una notte lo scambiò per un lupo perché camminava tutto chinato; prese un sasso per tirarglielo, ma gli restò la mano paralizzata.

Salamane. Si era consacrato alla vita silenziosa. Stava chiuso in un casottino senza porte né finestre, su una riva dell’Eufrate. Una notte gli abitanti dell’altra parte del fiume, lo presero e lo trasportarono in spalla di là, e gli costruirono attorno un casottino identico all’altro. Ma poche notti dopo gli abitanti della riva opposta lo riportarono di qua, senza che lui si opponesse o si dibattesse o si esprimesse a favore o contro. Durante questi traslochi si comportò sempre come se fosse un morto.

Giacomo. Fu allievo del famoso Marone. Era salito su una montagna tutta pelata, dove stava esposto alle intemperie: ora sommerso da un violento acquazzone, ora bruciato dai raggi del sole. A volte la neve cadeva per tre giorni e tre notti di seguito e Giacomo sdraiato con la faccia a terra ne era sepolto a tal punto che non si vedeva neppure un brandello dei cenci che portava addosso. Spesso i vicini, spianando con rastrelli la neve accumulata, lo tiravano su e lo svegliavano.

Giovanni. Abita sulla cresta frastagliata di un monte, battuta da continue tempeste. Sta lì da venticinque anni in balìa degli eventi meteorologici. Sulla cima di un’altra montagna c’è un tale Mosè. E su un’altra montagna completamente desertica, c’è il vecchio Antonino, su un’altra ancora l’anziano Antioco chiuso dentro a un recinto. E ce ne sono altri, ognuno sulla cima di un monte, e non è facile raccontare la vita di ognuno. Asclepio che era dello stesso gruppo, preferiva stare due chilometri lontano dagli altri.

Zebina. Era giunto all’estrema vecchiezza, che non gli consentiva di sopportare la posizione eretta costantemente; perciò portava come sostegno un bastone, e appoggiato a questo cantava giorno e notte. La sera faceva restare presso di sé molti di quelli che venivano da lui. Ma questi, per timore di dover stare tutta la notte in piedi con lui, trovavano pretesti, o impegni già presi, pur di evitare quella fatica. Il suo allievo Policronio si era fatto portare un’enorme radice di quercia; di notte se la mette sopra le spalle e stando in piedi pregava; la teneva anche di giorno quando non aveva nient’altro da fare. Teodoreto dice che con due mani era riuscito a malapena a spostarla.

Eliodoro. Visse fino a sessantacinque anni, e ne aveva passati sessantadue rinchiuso in una cella dove era entrato a tre anni. Non aveva visto perciò nulla del mondo. Diceva di non sapere com’è fatto un maiale o un pollo, o altre bestie consimili.

Baradato. Stava in cima a un’altura, dentro una cassa di legno che aveva fabbricato con le sue mani; e doveva stare tutto curvo perché la cassa era più corta di lui; ma a parlargli ragiona meglio di chi ha studiato Aristotele.

Taleleo. Aveva fabbricato una specie di gabbia di legno, con due assi rotonde, una sopra e una sotto; e l’aveva appesa a tre lunghi pali legati in cima. Lui sta dentro questa gabbia cilindrica, alta novanta centimetri e larga quaranta. E sta lì da dieci anni sospeso per aria, piegato in due, conia faccia sulle ginocchia. I vicini dicono che compie molti miracoli, non solo sugli uomini, ma anche su cammelli, asini e muli.

Domnina. La meravigliosa Domnina ha fatto costruire in giardino una capanna di steli di miglio. E vi abita mangiando lenticchie. La sua pelle è come una membrana che ricopre le ossa; tutti la possono vedere, ma lei non vede nessuno perché ha la testa coperta da un telo. Si sentono solo venire dei suoni impercettibili, è lei che piange sempre; si esprime solo così.