Recensioni / Fa ridere?

Un repertorio di comicità non volute curato dal poeta, bibliofilo e cultore di cose di lingua Paolo Albani

In un articolo intitolato Perché i veneti non raddoppiano e i valtellinesi triplicano, Achille Loria avanza la tesi che «i montanari, moralmente più puri, sicamente più robusti, “triplicano” le consonanti; la gente di pianura, invece (e guai se si tratta di popolazioni che stanno al livello del mare, come i veneziani), oltre che moralmente depravata, è anche sicamente degenerata e non riesce neppure a “addoppiare”».
Paolo Albani è «poeta visivo» (lo dice lui nel risvolto di copertina) e scrittore. A queste qualiche essenziali si potrebbe aggiungere anche quella di cultore di stranezze genericamente espressive (linguistiche, letterarie, socioculturali) e una conclamata propensione per le serie e i repertori. Tentazione dell’elenco che lo ha reso piuttosto noto per almeno una Enciclopedia delle scienze anomale, un Catalogo ragionato dei libri introvabili, un Dizionario degli istituti anomali nel mondo e, per la linguistica, per Aga, magéra, difúra. Dizionario delle lingue immaginarie.
Umorismo involontario, che esce ora nelle edizioni della elegante e riverita Quodlibet di Macerata, è un repertorio; ed è un repertorio, nel senso che il materiale vi è ordinato in ordine alfabetico e apposite freccine tracciano un sistema di rinvii e rimandi, tanto che lo strumento risulta consultabile nella forma lineare ma anche in quella discontinua e trasversale tipica dell’enciclopedia. Il tema portante e comune a questi lemmi è quello dell’umorismo inconsapevole e non cercato; e siccome il fenomeno è diffuso e multiforme, perché la stessa esistenza umana si presta a questo sintomatico «effetto collaterale», la serie di occasioni per far ridere senza saperlo assume molti formati e popola le sedi più strane.
Così, l’elenco conterrà certamente gaffe, lapsus, papere e tutta la famiglia degli strafalcioni e degli stupidari, ma anche, meno prevedibilmente, pittore della domenica, giudizi di lettura, manuale di conversazione, etimologia, eretico. Alla «fermata» etimologia sono citate le ipotesi di «un vecchio professore, laureatosi dopo la Grande Guerra» che snocciolava serio etimologie personali del tipo codardo dal nome di chi «fugge come un dardo» tenendo la coda tra le gambe, oppure andare carponi che deriverebbe dall’abitudine delle grosse carpe di nuotare sul fondo marino, o ancora tamburo dal latino tam buius «tanto buio», «perché dentro il tamburo c’è un buio pesto». Ma belle pagine sono dedicate al politicamente corretto quando fa ridere, alla retorica dei dittatori, ai refusi.
Sorvoliamo sui giudizi di lettura (quelli del tipo «questo Nabokov fa schifo», «questo Proust non avrà mai successo» ecc.), sui record più inusuali contenuti nel Guinness dei primati, sugli errori dei ragazzini nei temi di italiano, per dire tra l’altro che spesso l’umorismo involontario interessa fatti linguistici: le etimologie appunto, ma anche ipotesi a sfondo sociale per la spiegazione delle caratteristiche dialettali, oltre a una bella serie di paragra dedicati agli enunciati contenuti nei manuali di conversazione in lingue straniere: «Mamma, comperasti la tovaglia? No, ma comperai il rasoio per tuo fratello. Vedeste il mio allacciabottoni? No, ma vidi il vostro colletto e polsini».
Insomma, come detto, occasioni a non nire per ridere e sorridere di situazioni non pensate per essere ridicole. Il libro ha generoso apparato iconograco (fotograe e disegni) e una breve premessa teorica del curatore con benvenute tipologie storiche dell’umorismo, quelle ormai classiche di Umberto Eco, del genio Vladimir Propp (tutti noi, laureati negli anni Ottanta-Novanta lo conosciamo, il caro Vladimir), e poi di Jurenev, Achille Campanile, Giulio Ferroni.
«Il comico involontario è una bellezza di natura più che di arte, e ha bisogno di uno scopritore che lo collochi nelle mappe letterarie e lo metta in cornice come si incornicia la pietra paesina».