Recensioni / Superstudio. I teatranti dell’architettura

Al MAXXI è stato presentato il 20 settembre il libro che è anche catalogo della mostra, appena finita, Superstudio, Opere 1966-1978, edito da Quodlibet a cura dell’omonimo noto gruppo di architetti propugnatori di ardite concezioni di rinnovamento e di futuribili città.

Insieme a tante foto dell’esposizione abbiamo un Amarcord dei bei tempi e di tanti famosi personaggi che composero quel fenomeno culturale che il noto critico Germano Celant chiamò nel ‘70 architettura radicale. Un fenomeno che aveva origini nelle città futuribili di Bill Katavolos, Walter Jonas, Yona Friedman, Paul Maymont, come pure in Arata Isozaki e Kiyonori Kikutake, allievi di Kenzo Tange, nel saggio/manifesto Metabolism, ma che ebbe nelle proposizioni di radicale processo di revisione e rifondazione del gruppo inglese di Archigram il suo vero e proprio inizio.

Sembra un racconto a puntate, il mio, se si pensa che riprendo l’argomento dopo l’articolo sulla mostra su Peter Cook pubblicato di recente su Agenzia Radicale, dove ho mostrato come sia stata importante la sua influenza anche se ne contestavo la faciloneria dei suoi propositi.

Sarà che negli anni ‘60 gli inglesi, come pure gli americani, erano per noi italiani nella musica talmente mitici che tanti complessi nostrani ne cantavano le canzoni in italiano, quelle che oggi si chiamano cover, con incredibile successo di vendite. Anche se in contesti completamente differenti, non ci deve sorprendere che dei giovani architetti italiani riprendessero le orme di istanze nate oltremanica riscuotendo ampi consensi e simpatie.

Era il 4 dicembre del 1966 quando nella galleria Jolly 2 di Pistoia si presentava la mostra Superarchitettura opera di due gruppi di architetti fiorentini neolaureati: Archizoom e Superstudio. La superarchitettura è l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del superman e della benzina super: così diceva il loro manifesto, spiegando bene i limiti tutti ideologici che avevano e che avranno a seguire; superarchitettura che nella mostra avvenuta al MAXXI non a caso viene simboleggiata nell’espositore – installazione del grande muro rosso al centro della sala. Una visione dell’architettura che giaceva sui concetti della macroindustria, del grande capitale, della denuncia/asservimento alla grande produzione nel grande stato forte e potente: e quindi una visione benevola dell’ipotetico grande regime per il quale gli autori si adoperavano in spropositate quanto impossibili architetture, utopie che ovviamente non vennero mai realizzate. Ideologia perfettamente speculare a quella del vecchio PCI che nonostante le sue ossessioni critiche su tutto – non riusciva a capire che proprio tutto sarebbe cambiato entro pochi anni, con mutamenti che causarono la scomparsa del più grande partito comunista dell’Occidente capitalista.

Superstudio fu utopia di una visione dell’anti-architettura, che paradossalmente si affermò in un discreto potere baronale: infatti i tutti i componenti del gruppo si ritrovarono con la cattedra e con la collocazione di varie opere di design in importanti musei, nonché una mole impressionante di pubblicazioni che li resero famosi in tutto il mondo.

Riconosciuti come avanguardia non riuscirono ad essere riferimento di soluzioni ecologiche, di risparmio energetico, l’uso di materiali innovativi, le nuove tecnologie e la domotica. Il Monumento Continuo (1969), gli Istogrammi d’architettura (1969-70) e Le dodici Città Ideali (1971), furono ipotesi di proposte progettuali per dimostrare i limiti dell’architettura, conoscenza usata come se fosse uno strumento critico della società, insomma come se l’architettura avesse una coscienza e una volontà, per poi approdare nel “tutto è architettura” (1968) di Hans Hollein di cui essi ben seguirono i dettami.

Fotomontaggi, video, progetti, che altro non sono che fantasiosi disegni, oggetti impossibili da usare proposti come design, disprezzo dell’esistente e soprattutto tanto autocompiacimento; più che architetti, nel senso di creatori di costruzioni, quelli di Superstudio sono stati degli abili teatranti dell’architettura, capaci di stare per decenni al centro dell’attenzione, e riuscendoci con gran successo come dei consumati mattatori del palcoscenico.