Recensioni / L’Elaboratorio di Giovanni Anceschi

Ri-tornello

L’attualità in arte, si è detto, è la ridondanza di metafore risapute. In una società dichiaratamente liquida (Bauman) non dovremo sorprenderci di ritrovare, rivisitare, riprendere le Tavole di possibilità liquida, i Percorsi fluidi e i Quadri-Clessidra di Giovanni Anceschi. Ma il prefisso – ri-, che ho impiegato finora, deve metterci sull’avviso. Si può ri-prendere un progetto dalla fine o dall’inizio o, com’è il caso della presente mostra, dal mezzo. Cioè dall’esperienza artistica di Anceschi, intensificata dalla sua numerosa carriera di designer, di regista multimodale e di accademico. Gilles Deleuze chiamava «ri-tornelli» queste ripetizioni in cui il senso si rinnova, fondendosi col dinamismo del proprio sviluppo.

Questa ri-presa non è un’installazione, che comporta la stasi dello «stallo», ma un’operazione: un composto d’opere-materie, oggetti e forze. Mentre altri artisti sono presi dai circuiti della mente o dai meandri della psiche, Anceschi indaga i piani misteriosi delle sostanze e delle nostre esperienze. La sua libera attività – termine che preferisco a quello di «lavoro» – esperimenta un bricolage «alchemico» che non rappresenta «qualcosa», ma compone e decompone un gioco di energie e di sensazioni.

Taumatologie
Come professore so che insegnare è questione di segni. I Professori sono artisti che insegnano (Anceschi) oppure intellettuali che non scrivono, ma distinguono. Comincerò allora col distinguere, nell’operato ingegnoso di Anceschi, un Congegno e un Dispositivo che trasformano la mera materia in sostanze disponibili al senso.

(i) un Congegno, cioè un costrutto di materiali trasparenti e di cornici maneggiabili; (ii) un Dispositivo, fluido, colorato, trasparente e traslucente. Una fluidità che è la grandezza fisica reciproca alla viscosità, la resistenza del liquido al suo scorrere, alla sua «reologia». Una viscosità dinamica (o cinematica) in interazione tensiva con i fluidi – un coefficiente di scambio della quantità di moto – che, secondo il variare delle consistenze, trasforma anche la loro saturazione cromatica.

Un fare alchemico, senza elisir e senza misteri, in cui l’arte ritrova la capacità di allusione, illusione e meraviglia della Grande Opera. Una Taumatologia, disciplina dello stupore, magia naturalis che era culmine del sapere-potere dei numeri, Criptologia e appunto Alchimia. Quella degli artisti «taumaturghi» è una storia di lunghe durate, inaccessibile all’attualità critica, la quale passa, sconvolta, dal presente al presente. «Ci vorrebbe un grande apparato dialettico per esplorare in tutte le sue sottigliezze l’immaginazione materiale dell’alchimista», scriveva Bachelard. A me resta la tentazione di leggere le clessidre e le tavole di Anceschi come storte e alambicchi, forni, vasi, mortai per filtri visivi, mescidazioni, proiezioni (polveri di proiezione), trasmutazioni.

Congegni e dispositivi per confabulare con l’anima del mondo? Come scrive, ancora, Bachelard: «Ci sono immaginari in cui il mondo è concepito come un immenso alambicco, che ha il cielo come coperchio e la terra come casseruola. L’alambicco del distillatore sarà allora un alambicco del micromondo e la più piccola delle distillazioni sarà un’operazione d’universo. L’alchimista vive un sogno cosmico». E le clessidre e gli alambicchi del micromondo sognato da Anceschi?

L’Elaboratorio.

La ri-presa delle opere di Anceschi ha un’altra giustificazione. È un’inter-presa, che richiede di inventare il potenziale d’inventività dell’utente; di immaginare l’immaginazione del partner di un gioco. (Quel che c’è di più caratteristico nell’umano, per Raymond Queneau.) Le opere erano e sono destinate all’interazione; richieste di prestazioni immaginative a un visitatore-partecipante. Non un osservatore, ma un bricoleur con un certo gioco nelle rotazioni del Congegno (le cornici) e del Dispositivo (dilatazioni delle linee dei flussi, alterazioni innescate dalla deformazione viscosa e così via). Piccoli spartiti sensibili di cui va scoperta l’esecuzione, la quale sarà di volta in volta un’esperienza originale. Un’«ecceità» (Deleuze), un evento mobile e comunicante.

Lo spazio della Galleria allora non è un antro alchemico né un luogo di lavoro. Diventa uno spazio intermedio, dove l’artista mette in scena i moti colorati delle sostanze (il plasticien) e programma i giochi dei visitatori-«prestatori d’opera» (il regista).

Rischiamo il neologismo: la Galleria diventa un Elaboratorio.

Coda

La critica non è un’ermeneutica: anche le mie parole, che descrivono e presentano le opere in mostra, vorrebbero partecipare alla riuscita dell’esperimento che Anceschi ci ri-propone e ri-dispone. Non con un’interpretazione ma con un’esecuzione, nel senso musicale del termine; la quale non è né vera né falsa, ma può risultare giusta o errata.

E non vorrei neppure sbagliar meno. Meglio sbagliar meglio.

Bibliografia

Gaston Bachelard, La terra e le forze. Le immagini della volontà, Red edizioni 1989

Zygmunt Bauman, Vita liquida, Laterza 2006

Gilles Deleuze, Félix Guattari, Cos’è la filosofia, Einaudi 1996

Umberto Eco, Aspetti della semiosi ermetica, in Id., I limiti dell’interpretazione, Bompiani 1990

Paolo Fabbri, Il significante del mondo, in Semiotica in nuce, a cura di Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone, Meltemi 2001