Traduzione di Alice Parmeggiani
«Si direbbe che questo cadavere abbia ragione»
Il protagonista riceve una lettera da un amico che si è appena suicidato e gli propone di andare al suo posto in Mongolia per scrivere una guida turistica su commissione dalla rivista Epoca.
A Ulan-Bator incontra un vescovo olandese portato lì da un sogno in cui è rimasto impigliato, incontra un ufficiale dell’armata rossa diventato buddista e gran lama, il corrispondente americano di un giornale che non esiste più da un pezzo, uno zombie francese dal passato lubrico, uno psicanalista italiano di nome Andreotti, un’attrice di cinema che tutti dicono essere Charlotte Rampling.
Tutto avviene per lo più all’hotel Gengis Khan, dove la vodka scorre a fiumi tra dissertazioni metafisiche sui tre tipi di tempo interiore, sulle tre specie d’uomo e sulle teorie cosmologiche che dimostrano che il mondo è un ologramma. Sembra intanto che i morti abbiano formato un sindacato, e in una seduta psicanalitica arditi accostamenti vengono fatti tra i labirinti vaginali e i caccia sovietici mig 21.
Mongolski bedeker è una specie di romanzo filosofico, ma di una filosofia così stramba, che alla fine unica certezza è l’incertezza di tutte le cose.
Una guida nel paese dell’assurdo («Le Figaro»)
Svetislav Basara (Bajina Basta 1953), ambasciatore di Serbia e Montenegro nell’isola di Cipro, è considerato uno dei più brillanti scrittori della sua generazione, spesso paragonato al regista Emir Kustirica. Ha scritto una ventina di libri, questo è il secondo romanzo tradotto in italiano dopo Quel che si dice dei Ciclisti Rosacroce (Anfora 2005).