Beppe, un maestro di scuola stanco della compagnia dei suoi simili, salpa da Verona per raggiungere il Giappone. Approda invece in un’isola sconosciuta i cui abitanti sono privi della vista. I cittadini di Amauropoli, così si chiama la «città cieca», dormono durante il giorno e lavorano la notte, hanno un bizzarro concetto della bellezza femminile e considerano il sole una risibile superstizione e gli occhi un organo contrario ai principi del buon senso. Innamoratosi della bionda Imelda, che crede nel sole per intuizione spirituale, il protagonista, ribattezzato Agatocle, sfida per lei i potentissimi membri della Società del Libero Pensiero: in una concitata seduta cerca di dimostrare empiricamente l’esistenza di ciò che la scienza amauropolitana nega; ma le confutazioni dei saggi sono incessanti e inoppugnabili, e tutto finisce in rissa.
L’isola dei ciechi di Giuseppe Fraccaroli (1849-1915), professore di Letteratura greca all’Università di Torino e polemista fra i più noti a cavallo dei due secoli, è un’efficace e brillante satira della fiducia ottusa nelle scienze positive e nel progresso. Pubblicata nel 1907 e da allora mai riproposta, è una delle testimonianze più significative della fortuna di Swift in Italia. Le altre opere narrative di Giuseppe Fraccaroli sono in corso di pubblicazione in questa stessa collana.
Giuseppe Fraccaroli (Verona 1849, Milano 1918) fu tra i maggiori e più noti grecisti a cavallo tra Otto e Novecento. Allievo del filologo Eugenio Ferrai e del poeta Giacomo Zanella, fu critico, saggista, traduttore e polemista particolarmente vivace contro la scuola storica e la filologia di ascendenza germanica (memorabile la sua polemica con Girolamo Vitelli). Esordì con una raccolta di versi e, parallelamente, dette avvio a una carriera universitaria che lo portò a Palermo, Messina, Torino e infine Pavia. È del 1903 il suo saggio più importante, L'irrazionale nella letteratura, dove prese posizione contro le ristrettezze del filologismo e propose una lettura dell’opera letteraria di tipo prettamente estetico. Da ricordare, nella sua multiforme e ricca produzione, una traduzione delle Odi di Pindaro (1894, 1914), un’antologia di Lirici greci (1910-1913) e una parafrasi delle Ecclesiazuse di Aristofane in dialetto veronese.