Nota autobiografica
Ruggero Savinio è nato a Torino il 22 dicembre 1934. Torino era la prima tappa del ritorno in Italia dei genitori, scacciati da Parigi dalla Crisi Economica. Da Saturno, che presiede al suo segno astrologico, ha ricevuto l’umore malinconico e l’ostinazione. I suoi nomi, quello dell’anagrafe, che è anche quello dei suoi figli, de Chirico, e l’altro nome, Savinio, che suo padre si è inventato per distinguersi dal fratello e che lui ha conservato per sé, gli hanno pesato e gli pesano, specie da quando i suoi parenti, da personaggi eccentrici nell’arte italiana, sono diventati centrali in quell’arte che vuole adesso chiamarsi postmoderna. Lui, per conto suo, ha sempre considerato arbitrarie le partizioni temporali della storia dello Spirito. Per lui la pittura è tutta contemporanea, dalla pittura greco-romana a Tiziano e agli altri pittori veneti, al Seicento italiano, a Rembrandt fino alla nostra modernità. Pur vivendo l’infanzia e la prima giovinezza a Roma, e essendo tornato a abitarci a metà della vita, la sua predilezione è sempre andata agli umidori e agli impasti della pittura del Nord (Piccio, Fontanesi, Ranzoni…), in questo seguendo le predilezioni di Longhi, antimacchiaiolo (Buonanotte, signor Fattori!). Un altro riferimento, che in certi periodi ha tenuto in mente con una certa ossessione, è il pittore tedesco ottocentesco Hans von Marées, autore di un’opera che voleva rimettere in piedi il grande stile perduto senza nascondere il lavorio, le difficoltà e la vera e propria impossibilità di questo sforzo destinato allo scacco. Crede che proprio lo scacco testimonia della verità della pittura. Molto giovane ha tenuto la prima mostra a Roma con due amici pittori, presentati da Ungaretti (Galleria L’Aureliana, 1956). A Milano, nel 1962, la prima personale, da nessuno presentata, alla Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, che, lui stesso pittore, aveva il gusto di scoprire giovani talenti e di seguirli ai loro inizi. Intanto, forse per un rifiuto di appartenenza, aveva cominciato frequenti e lunghi soggiorni a Parigi. A Parigi aveva tenuto una piccola mostra di disegni, presentata da Guy Weelhen e Dominique Fourcade (Galerie Jacob, 1967). Nel 1968 si è trasferito a Milano, dove ha vissuto per oltre vent’anni. Dopo brevi soggiorni a Roma negli anni Ottanta, vi si è stabilito definitivamente nel 1989. Nel frattempo ha tenuto molte mostre in Italia e all’estero. Nel 1986 gli è stato attribuito il Premio Guggenheim per un artista italiano. Gli sono state anche allestite molte mostre antologiche: la prima nell’ex Convento di San Francesco a Sciacca, 1989; a Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 1992; Castello Sforzesco, Milano, 1999; vicolo Valdina, Roma, 2001, allestita dalla Camera dei Deputati; Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 2012; Forte Malatestiano, Ascoli Piceno, 2015. Nel 1988 e nel 1995 è stato invitato con una sala personale alla Biennale d’Arte Internazionale di Venezia. Nel 1993 ha dipinto lo stendardo per il Palio di Siena. Nel 1995 è stato nominato Accademico Nazionale di San Luca. Come scrittore ha pubblicato numerosi libri, fra i quali: L’età dell’oro, Scheiwiller, Milano 1981; Il cuore luminoso delle cose, Università degli Studi di Parma, 2001; Tra casa e bottega, Edizioni dell’Altana, Roma 2003; La Galleria d’Arte Moderna, poemetto pubblicato nel 2003 dall’editore Le Lettere di Firenze; Percorsi della figura, Moretti & Vitali, Bergamo 2004; Passaggio della Colomba, Scheiwiller, Milano 2008; Cartavoce, Pagine d’Arte, Mendrisio 2012. Sempre da Pagine d’Arte è uscita – dal volumetto Didascalie, pubblicato nel 2004 dalla Galleria Bambaia, Busto Arsizio – a Parigi, nel 2011, l’edizione francese col titolo Légendes. Alla soglia degli ottant’anni, credendo di dover trarre un senso dall’attività svolta e dalla vita vissuta, è arrivato a pensare che, come dice la canzone, un senso non ce l’ha. La mancanza di senso (di volontà comunicativa, ecc.) è propria della pittura, un’attività che basta a se stessa, così com’è depositata nella tradizione, l’eterno presente con il quale lui continua a confrontarsi e a volervi attingere con una libertà sempre più grande, che spesso l’età alta della vita regala.