Le due facce del potere 3: il regno e il governo
«Le roi règne, mais il
ne gouverne pas», «il re regna, ma non governa». Che questa formula, che è al centro del dibattito fra Peterson e Schmitt sulla teologia politica e che nella sua formulazione latina (rex regnat, sed non gubernat) risale alle polemiche secentesche contro il re di Polonia Sigismondo III, contenga qualcosa come il paradigma della doppia struttura della politica occidentale, è quanto abbiamo cercato di mostrare
in un libro pubblicato quasi quindici anni fa. Ancora una volta, alla sua base sta un problema genuinamente teologico, quello del governo divino del mondo, esso stesso in ultima analisi espressione di un problema ontologico. Nel capitolo X del libro L della Metafisica, Aristotele si era chiesto se l’universo possegga il bene come qualcosa di separato (kechorismenon) o come un ordine interno (taxin). Si trattava, cioè, di risolvere la drastica opposizione fra trascendenza e immanenza, articolandole insieme attraverso l’idea di un ordine degli enti mondani. Il problema cosmologico
aveva anche un significato politico, se Aristotele può paragonare immediatamente
la relazione fra il bene trascendente e il mondo a quella che lega lo stratega di un esercito all’ordinamento
dei soldati che lo compongono e una casa alla reciproca connessione delle creature
che in
essa vivono.
«Gli enti» egli aggiunge «non vogliono avere una cattiva costituzione politica (politeuesthai kakos) e deve quindi esserci un unico sovrano (heis koiranon», che si manifesta
in essi nella forma dell’ordine che li collega. Ciò significa che, in ultima istanza, il motore immobile del libro L e la natura del cosmo formano un unico sistema a due facce e che il potere – sia esso divino o umano –
deve tenere uniti i due poli ed essere tanto norma trascendente che ordine immanente, tanto regno che governo.
Sarà compito della scolastica medievale e, in particolare,
di Tommaso tradurre questo paradigma ontologico nel problema teologico del governo divino del mondo. Essenziale, a questo fine, è l’idea di ordine. Essa esprime, da una parte, la relazione fra Dio e le creature (ordo ad Deum) e, dall’altra, la relazione delle creature fra di loro (ordo ad invicem). I due ordini sono strettamente connessi e, tuttavia, la loro relazione non è perfettamente simmetrica come può sembrare. Che il problema
abbia anche questa volta un aspetto politico, è evidente nel paragone che Tommaso istituisce con la legge e la sua esecuzione. «Come in una famiglia» egli scrive «l’ordine è
imposto attraverso la legge e i precetti del capofamiglia, che per ciascuno degli esseri ordinati nella casa è principio dell’esecuzione dell’ordine della casa, allo stesso modo la natura degli enti naturali è per ogni creatura il principio dell’esecuzione di quanto gli compete nell’ordine dell’universo». In che modo, tuttavia, la legge, come comando di uno solo, può tradursi nell’esecuzione dei molti rispetto ad esso ordinati?
Se l’ordine – come l’esempio certamente non casuale dello stratega e del capofamiglia sembra implicare – dipende dal comando di un capo, in che modo la sua esecuzione può essere iscritta nella natura degli enti così
diversi tra di loro?
L’aporia che segnerà in modo crescente tanto l’ordine del cosmo quanto quello della città comincia qui a diventare visibile. Gli enti stanno fra loro in una determinata relazione, ma questa
non è che l’espressione della loro relazione all’unico principio divino e, viceversa,
gli enti sono ordinati in quanto stanno in una certa relazione con Dio, ma questa relazione consiste soltanto nella loro relazione reciproca. L’ordine immanente non è che la relazione al principio trascendente, ma questo non ha altro contenuto che l’ordine immanente.
I due ordini rimandano l’uno all’altro e si fondano reciprocamente. Il perfetto edificio della cosmologia medievale riposa su questo circolo e non ha alcuna consistenza al di fuori di esso. Di qui la complessa, sottile dialettica fra cause prime e cause seconde,
potenza assoluta e potenza ordinata, attraverso il quale la scolastica cercherà, senza mai riuscirci pienamente, di venire a capo di questa aporia.
Se torniamo ora al problema dell’ordine politico da cui siamo partiti e che rimanda esplicitamente
a questo paradigma teologico,
non sorprenderà ritrovare in esso le stessa circolarità e le stesse aporie. Stato e amministrazione, regno
e governo, norma e decisione sono reciprocamente connessi e si
fondano
ed esistono l’uno attraverso l’altro; e, tuttavia
– anzi proprio per questo – la loro simmetria non può essere perfetta né inequivocabilmente garantita.
Il re e i suoi ministri,
la «politica» e la «polizia», la legge
e la sua esecuzione possono entrare in conflitto e nulla assicura che questo conflitto possa essere una volta per tutte composto. La macchina
bipolare della politica occidentale è sempre in atto di corrompersi e frantumarsi, perpetuamente in balia di cambiamenti e rivoluzioni che ne mettono in questione il funzionamento e la bipolarità nella misura stessa un cui sembrano ogni volta riaffermarli.
Il primato del governo sul regno e dell’amministrazione sulla costituzione che noi stiamo oggi vivendo non è in realtà senza precedenti nella storia dell’Occidente. Esso raggiunse la sua prima e radicale formulazione nell’elaborazione della dottrina del rex inutilis da parte dei canonisti del XIII secolo. È sulla base di queste elaborazioni che, nel 1245, il pontefice Innocenzo IV, su richiesta del clero e della nobiltà portoghese, emanò la decretale Grandi non immerito, con la quale deponeva il re Sancho II dal governo del regno,
che si era dimostrato incapace di amministrare, assegnando al fratello Alfonso di
Boulogne la cura et administratio generalis e
lasciando tuttavia a Sancho la sua dignitas regale.
La duplice struttura della macchina governamentale contiene la possibilità che la bipolarità in cui si articola possa essere messa in questione se essa cessa di risultare funzionale al sistema. È significativo tuttavia, dal momento che nessuna delle due facce del potere ha in sé il suo fondamento, che anche in questo caso estremo la dignità regale non sia stata tolta. La dualità di legittimità e legalità non è che un aspetto di questa bipolarità: il regno legittima il governo e, tuttavia, la legittimità non ha altro senso che la legalità dell’azione e dei provvedimenti
del governo.