Un altro silenzio
Mentre
i media dedicano tutto il loro spazio
alla guerra in Ucraina e a Gaza e contano, come sembra amino
fare, i morti
palestinesi
e israeliani, ucraini
e russi, un altro popolo
è stato ancora una volta ignorato: gli armeni, costretti per non essere sterminati a lasciare il paese dove vivevano. Dopo l’offensiva militare
del settembre 1923 da parte degli Azeri, il Nagorno-Karabakh o Repubblica dell’Artsakh, come lo chiamavano i suoi abitanti armeni, non esiste più.
Come è già avvenuto molte volte in questa regione, i confini verranno nuovamente disegnati e intere popolazioni decimate e spostate in nome della pulizia etnica. Quando
alla fine della Prima guerra mondiale la Federazione transcaucasica,
che era stato creata nel 1917 da armeni, azeri e georgiani, venne dissolta e il territorio conquistato
dai russi, il
Nagorno-Karabakh, benché fosse popolato per il 98% da armeni, fu assegnato da Stalin non alla repubblica socialista sovietica armena, ma a quella azera. Di qui, dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, i conflitti che hanno avuto il loro triste esito
in questi giorni. Occorre riflettere sul destino di questo popolo che ha subito come gli ebrei un genocidio e di cui non si parla, benché sia forse la
più antica comunità cristiana e
occupi per questo
uno dei quattro quartieri in cui si divide la città vecchia di Gerusalemme. Esso ci è
vicino, forse più vicino degli altri di cui invece si parla. Ciò che sta avvenendo nel Nagorno-Karabakh ci riguarda e ci mette in questione e per questo preferiamo ignorarlo.