Sapienza. Nel relativo è la salvezza
di Aldo Masullo
La quotidianità si presenta come una selva di assolutizzazioni per lo più inavvertite e di conseguenti trappole. La vita
degl’individui, non solo nei rapporti coi pubblici poteri ma
ben più, sottilmente e capillarmente, nelle private relazioni ne
viene gravemente disturbata.
Il paradosso del nostro tempo è che, quanto più si depotenziano i supremi assoluti pubblici, come lo Stato, la Chiesa, la
nazione, la classe, tanto più si moltiplicano e si rafforzano le
assolutizzazioni private. Sempre meno l’individuo si sente relativo agli altri individui e alla società stessa. Sempre più spoglio
dei relativi propri, egli tende irresistibilmente ad assolutizzarsi
nella sua anonimità d’individuo, di “uomo senza qualità proprie [ohne Eigenschaften]”: non si cerca un’identità nel proprio
esser membro di una nazione, o classe, o famiglia, non nell’essere padrone o operaio, studioso o affarista, giovane o vecchio,
con una storia o senza, ma nell’essere puramente un individuo.
Ognuno non vuole apparire altro che uno dei tanti. Ma non ha
interesse che per se stesso. Pensa e agisce, si muove insomma
nel mondo, come se fosse solo, come se fosse l’unico: egli non è
relativo a nessuno, ma chiunque altro è relativo a lui.
Ovviamente, qui si prescinde dal considerare la catena di
cause oggettive, che porta a tutto ciò.
Inanzitutto interessa comprendere l’attuale situazione
dell’uomo, caratterizzata dalla illimitata e capillare moltiplicazione dei fenomeni di assolutizzazione.
Da una parte sta l’enorme complessità del mondo, che per
l’inadeguatezza della mente presa nel quotidiano appare sempre un totale disordine; dall’altra parte ci si sente estranei a
qualsiasi pur minimo ordine sociale intermedio. L’individuo
purtroppo non ha che se stesso, autocentrato sul nulla che egli
è: non gli resta che assolutizzare questo suo nulla e distruggere chiunque ad esso faccia ombra.
Le cronache quotidiane traboccano degli effetti di assolutizzazioni e autoassolutizzazioni, a livello sia di azioni pubbliche sia di condotte private. Così il dolore del mondo spaventosamente cresce.
Mai come ora l’intrinseca eticità del pensiero critico sta tutta
nell’attivazione della sapienza del relativo.
Primo. La consapevolezza del relativo ci aiuta a capire che
i nostri giudizi in effetti non vertono sulle cose, ma sul nostro
variabile modo di vederle. Nel pronunciarli non si può perciò
dire: questo è rosso, oppure: questo è vero; ma: adesso questo
mi sembra rosso, oppure: adesso questo mi sembra vero. Insomma ogni nostro giudizio è: (a) dal mio punto di vista; (b)
fino a prova contraria. Già così viene colpita alla radice nella
sua rozza potenza la dommatica presunzione assolutizzante
dei nostri giudizi.
Secondo. La consapevolezza del relativo c’impedisce d’identificare il diverso con il male: essa perciò ci libera dall’impressione persecutoria di essere assediati da chi sa quanti nemici.
Terzo. Male certamente ne riceviamo dagli altri, ma spesso
più del male ci colpisce l’impressione di essere stati presi di
mira da odiosa malvagità. La consapevolezza del relativo ci
consente di capire che il più delle volte il male che ci colpisce
è il portato non di qualche gratuita malvagità, ma solo dell’inevitabile diversità dei punti di vista e degl’interessi contrastanti. Se si capisce ciò, cessa l’odio per l’offensore. Alla luce
di un giudizio realistico si soffre meno per l’offesa ricevuta.
Quarto. La consapevolezza del relativo non complica, ma
al contrario semplifica i vincoli affettivi. Per esempio, non
posso assolutizzare un rapporto d’amore, e in esso irrigidire
l’idea dell’altrui sentimento verso di me, al punto che, considerandolo comunque immutabile, io accollo all’altra persona,
con accanimento di parte lesa, la colpa di un suo cambiamento, se essa si allontana da me. Sia pur malinconicamente, io
continuo finché posso ad amarla. Sfracelli invece, in un modo
o nell’altro, producono coloro i quali confondono l’attualità
del proprio personale sentimento con l’altrui immutabilità,
presumendone l’assolutezza, e perciò l’etica doverosità.
Quinto. La consapevolezza del relativo non può in alcun
modo costituire un alibi: non esime il soggetto consapevole
dai suoi doveri verso gli altri, ma lo modera in ciò che egli
esige dagli altri o si attende da loro.
L’essere pensante desidera l’amore assoluto, ma è pur consapevole che l’amore non è assoluto se non sa di essere relativo.
Del resto così sono il conoscere e la fede in Dio.
Pensare correttamente l’assoluto non della morte, il nulla,
ma della vita, è pensare la relazione, l’illimitata relazione di
relazioni.
Etico, o più propriamente path/ethico, è il pensiero che, coltivando la sapienza del relativo, ci mantiene nella vita, liberi.