Benedetto XIV Lambertini
di Dino Baldi
Del modo arguto e schietto col quale gestiva gli affari
pubblici e privati.
Questo non vuol dire che papa Benedetto non sapesse
stare in società; la sua franchezza amabile sembrava anzi
il frutto più raffinato della sua educazione. Nei salotti era
perfettamente a suo agio: brillante, arguto, elegante parlatore.
Gli piacevano i motti di spirito e gli scherzi. Più volte
se l’era cavata d’impiccio in situazioni difficili con battute
ben trovate, e disse che se avesse dovuto scrivere un trattato
di governo ad uso dei prìncipi, avrebbe consigliato come
prima cosa di seguire il suo esempio. Quando era ancora
cardinale, un poetucolo aveva scritto su di lui una satira
ingiuriosa, piuttosto maldestra. Lambertini gliela rimandò
corretta e migliorata in più punti, dicendogli che in quella
forma avrebbe avuto senz’altro più fortuna. Horace Walpole,
figlio del primo ministro inglese, aveva composto invece
un poema nel quale lo chiamava il papa migliore tra tutti
i duecentocinquanta che si erano succeduti dopo Pietro, e
il miglior principe dell’Occidente. Benedetto rispose dicendo
che in effetti lui era come le statue della facciata di San
Pietro, che a vederle da lontano fanno un’ottima figura, ma
quando ci si avvicina sono tutta un’altra cosa.
Si lasciava spesso andare alla parlata bolognese anche in
occasioni ufficiali, e in particolare non riusciva a liberarsi
dell’intercalare «cazzo». Siccome da molte parti gli rimproveravano
di essere un po’ troppo sboccato per un pontefice,
aveva incaricato il suo affezionatissimo maestro di camera
monsignor Boccapaduli (che lui chiamava «mostro di camera
», perché era bruttissimo) di stargli sempre accanto
durante le udienze e di tirargli la tonaca ogni volta che gli
fosse sfuggita quella parola di bocca. Una mattina presto si
presentarono i camerieri segreti a riferire come al solito sugli
avvenimenti cittadini. C’era stato, dissero, un incendio nel
rione Monti. «Cazzo! Ci sono morti?», chiese il papa. Subito Boccapaduli dette una strattonata alla tonaca, e il papa
sottovoce: Avi rason… Continuando il racconto dei fatti di
Roma, ogni volta il papa li commentava con un «cazzo!», e
ogni volta il servitore dava uno strappo. Alla fine, stanco di
tutto quel tirare, gli urlò contro: «Hai rotto i coglioni Boccapaduli!
Cazzo cazzo cazzo! La voglio santificare questa
parola! Voglio dare l’indulgenza plenaria a chi la pronunci
almeno dieci volte al giorno!». E da allora, nessuno ebbe più
da ridire sul suo modo di parlare.
Un’altra volta venne in udienza un famoso scienziato
francese, Charles Marie de La Condamine, che studiava per
conto dell’Accademia delle Scienze la grandezza e la configurazione
della terra ed era stato il primo europeo a discendere
il Rio delle Amazzoni. Era a Roma per stabilire le
misure precise del piede romano, e per chiedere al papa il
permesso di sposare una sua parente. Già vecchio, e quasi
completamente sordo, siccome faceva fatica a sentire quello
che il papa gli diceva gli si avvicinava sempre di più, finché
gli cadde addosso e lo imbrattò tutto con la polvere di riso
della quale era ricoperta la sua parrucca. Terribilmente imbarazzato,
balbettando parole incomprensibili, Condamine
tirò fuori un fazzoletto e cominciò a spolverare maldestramente
il papa, che intanto rideva. «Va bene, va bene – disse
alla fine –, andate e sposatevi pure con chi vi pare, tanto più
che sono sicuro che nella vostra famiglia, sordo come siete,
regnerà la quiete perfetta».
Un giorno, era anzi notte, si precipitò negli appartamenti
papali un monsignore, che aveva fama di uomo semplice
e ingenuo, ma buono, ed era per questo molto amato dal
pontefice. Erano passate le undici, e Benedetto era già a letto
da più di un’ora. Il monsignore sembrava in uno stato
di agitazione estrema: «C’è una cosa gravissima che devo
assolutamente comunicare al papa – disse ai camerieri che
cercavano di trattenerlo –, ne va delle sorti della Chiesa stessa
». Girava per la stanza levando le mani al cielo, disperato
e smanioso: «Vi prego, sono sicuro che il papa domani si
arrabbierà moltissimo se non lo avvertiremo subito». Alla
fine i camerieri si decisero a svegliarlo. «Che è successo?»,
chiese Benedetto. Il monsignore con frasi spezzate e interrotte
da «ohimé ohimé» biascicava di uno scandalo gravissimo:
«Signore, Gesù e Maria, datemi la forza di dirvelo, è
cosa talmente enorme, mostruosa che non si può neppure
immaginare». «Allora? Parlate dunque», disse il papa, che
cominciava a preoccuparsi e ad arrabbiarsi allo stesso tempo.
Alla fine il prete, con la faccia atteggiata al raccapriccio
più orrendo, passandosi più volte la mano sulla fronte sudata,
mormorò con un filo di voce, come se inghiottisse un
ripugnante boccone: «Santità, nel monastero tal dei tali è
stata trovata una monaca incinta». «Cazzo! – disse il papa
– Da come la facevate lunga pensavo fosse incinta un frate!
Ma dico, voi mi svegliate per questo? Non se ne può parlare
domani? Anche se sono il papa non ho mica la virtù di cambiare
lo stato di una donna gravida! Lasciate dormire questo
povero vecchio, va là». E tornò a letto.