Franz Kafka, Il processo. Dalla Postfazione di Michele Sisto

Quella che qui si ripubblica è la prima traduzione italiana del Processo di Kafka, uscita nella collana «Biblioteca europea» della casa editrice Frassinelli nel 1933 e rimasta l’unica per circa quarant’anni. È la traduzione che in Italia hanno letto quasi tutti, da Landolfi a Buzzati, da Vittorini a Fortini, da Calvino a Pasolini, da Elio Petri a Federico Fellini. Fa parte a pieno titolo del nostro repertorio letterario, come le versioni pavesiane di Moby Dick e Dedalus, uscite nella stessa collana, o quella di Berlin Alexanderplatz, firmata due anni prima dallo stesso Alberto Spaini. Nel presentarla, il direttore della «Biblioteca europea» Franco Antonicelli la vantava come una «novità assoluta», e non aveva torto: l’edizione francese del Processo, che di fatto avrebbe dato avvio alla fortuna internazionale di Kafka, sarebbe apparsa solo alcune settimane più tardi. L’unico suo romanzo tradotto in una lingua straniera era The Castle (1930), pubblicato a Londra da Willa e Edwin Muir, mentre la Metamorfosi restava confinata al circuito, prestigioso ma ristretto, delle riviste letterarie, come la «Revista de Occidente» di Ortega y Gasset (1925) e la «Nouvelle Revue Française» di Jean Paulhan (1928).
Oggi può sorprendere che a dieci anni dalla morte di Kafka, autore che consideriamo un classico indiscusso, si fosse tradotta appena una manciata di testi. In realtà sarebbe stupefacente il contrario. Pubblicare uno scrittore così inconsueto, e in quel momento noto solo a pochi letterati, non era certo un affare, in Italia come altrove. Le case editrici più grandi, come Treves o Mondadori, se ne guardavano bene; quelle più piccole e disposte a rischiare potevano avere interesse a tradurlo solo a condizione che rientrasse nel loro progetto di catalogo: ma Slavia, Modernissima e Bompiani, per non citare che le principali, guardavano in altre direzioni, al racconto psicologico, alla «letteratura dell’asfalto», al «romanzo collettivo». Per decidere di tradurre un autore scarsamente vendibile come Kafka, insomma, bisognava non solo compiere un atto di fede nel suo valore letterario, ma anche condividere, almeno in una certa misura, la sua poetica (o credere di farlo). Ogni traduzione che non risponda a semplici esigenze di mercato è una scommessa, una storia di ordinaria avventura, che è interessante ricostruire.