Giancarlo De Carlo, Città e malattia

La scorsa volta abbiamo lasciato un’allegra brigata di sette giovani donne e tre giovanotti, che si erano radunati a Firenze e avevano deciso di lasciare la città e andare in campagna. Pampinea, iniziatrice del progetto, aveva espresso un’idea precisa, legata allo spazio fisico: la decisione di trasferirsi in attesa che la peste finisse non era un modo di sospendere il tempo, ma di cambiare l’assetto che fino a quel momento era stato tenuto. I personaggi del Decameron sono sollecitati a cambiare, come del resto tutto il mondo, distrutto dalla peste.
Le città in Europa si svuotano per il contagio della malattia, ma anche perché una grande catastrofe porta la gente a pensare, e a riflettere su come si conduce la vita, su quello che è il mondo, e a immaginare come potrebbe essere diverso, anche per evitare la peste che tutti erano convinti che fosse un castigo di Dio, ma sospettavano anche fosse collegata ad alcune circostanze concrete.
In tutta Europa prende forma la critica al modo in cui si vive nella città, e questa è una delle prime spinte al rinnovamento: il Rinascimento rappresenta una grandissima trasformazione nella concezione dell’organizzazione e della forma dello spazio. L'entità della catastrofe determina il cambiamento della nozione di città e trasforma nella mente delle persone l’idea di come si debba consistere nello spazio fisico e di quali forme a esso si debbano dare. Se si confrontano i dipinti trecenteschi con quelli di Paolo Uccello, di Giovanni Bellini, del Carpaccio, si vede che la città è rappresentata in modo diverso. Innanzitutto non è più ineffabile, ma è un oggetto di cui si capisce la struttura, e di cui perciò si può discutere; è un’entità più aperta, e soprattutto più razionale di quanto non fosse in precedenza, quando era il risultato di una concrezione. [...]
Una delle componenti del cambiamento di concezione è senza dubbio legata alle nuove norme di comportamento che oggi chiameremmo igienico-sanitarie.
Anche oggi, quando si verificano i disastri, la collettività si organizza e vengono definite le norme del caso; una delle prime regole che viene stabilita è che le strade debbano essere più larghe, per consentire la ventilazione trasversale, e pavimentate, perché la mota facilita il trasmettersi delle malattie, in particolare la peste, il flagello che aveva profondamente coinvolto e scosso tutti gli esseri umani.
Gli spazi aperti perciò devono essere più ampi, e non residuali rispetto all’aggiustarsi del costruito. Diventa necessario concepirli e progettarli di per sé stessi, per lasciare che nelle concrezioni medievali circolino più aria e più luce.
Un altro accorgimento innovativo è la separazione. In primo luogo vengono distinti gli spazi destinati agli uomini da quelli utilizzati per gli animali; nella città medievale vivevano tutti insieme, negli stessi luoghi, e non è detto che fosse un male dal punto di vista della comunicazione tra uomini e animali, che forse allora aveva una grande ricchezza che ora è andata completamente perduta, ma dal punto di vista igienico era molto dannoso, anche per gli animali, immagino.