Verso un «giardino planetario»
di Gilles Clément
Dalla notte dei tempi, il giardiniere non ha mai smesso di svolgere le tre funzioni del suo lavoro d’eccellenza:
– l’organizzazione dello spazio;
– la produzione;
– la manutenzione nel corso del tempo.
Fino all’inizio del XXI secolo, il giardiniere era l’architetto del giardino, colui che fornisce i fiori, i frutti, le verdure, colui che taglia, pota, rastrella, innaffia e concima… Eccolo ora improvvisamente promosso a responsabile del vivente, garante di una diversità da cui dipende l’intera umanità. Nessuno è preparato per un tale ruolo. Il giardino di oggi, e a fortiori quello di domani, deve integrare questa pratica di esplorazione – proteggere la vita –, altrimenti mette in pericolo il giardiniere.
Ma chi è il giardiniere di questo giardino?
È qui che avviene il grande rivolgimento, quello attraverso il quale i passeggeri della Terra, che siano o meno d’accordo con le teorie del cambiamento annunziato, non occupano più il territorio limitandosi ad annullarlo e a sfruttarlo brutalmente, bensì ne divengono i giardinieri.
Poiché si tratta della vita, il giardiniere di quel giardino si trasforma in un popolo. Che lo si voglia o no, il giardino rimanda al pianeta. Se, nella sua configurazione iniziale, esso non ha mai smesso di accogliere le specie venute da tutto il mondo – e di costituire in tal mondo un indice planetario –, eccolo ormai ecologicamente connesso allo spazio vicino, il quale è a sua volta connesso a un altro più lontano, e così via, fino a fare il giro della Terra. Il giardino di oggi non riesce a contenersi entro il tradizionale recinto, anzi, costringe tutto il vicinato alla condivisione. Gli insetti, gli uccelli, l’ossigeno e l’acqua non conoscono altro contenitore che la superficie della Terra e lo spessore della biosfera: valicano le barriere istituzionali. Qualsiasi recinzione interna al giardino planetario rientra nel campo dell’illusione ed è riconducibile a un’arcaica visione di dominio del vivente.
Tuttavia, i limiti del giardino planetario esistono eccome, e sono i limiti stessi della biosfera, dalla sommità della troposfera ai primi strati della litosfera. Così inteso, il pianeta rientra perfettamente nelle definizioni di giardino: siamo infatti in uno spazio chiuso comune. Siamo dunque in un paradiso?
All’interno di tali limiti, nel cuore animato della biosfera, là dove si sviluppano i microorganismi, dove si muovono gli animali e gli esseri umani, solo la condivisione è possibile. Null’altro. A titolo d’esempio, condividiamo l’aria carica dell’ossigeno prodotto dagli oceani e dalle foreste. Tutto è condivisione. Condivisione obbligatoria, per le evidenti ragioni legate alla finitezza. La condivisione si accompagna al riciclaggio di ogni cosa, anch’esso resosi obbligatorio in un sistema che deve essere considerato unico e chiuso.
Ecco perché i processi di appropriazione del bene comune messi in campo dalle potenti multinazionali – la scomposizione e la mercificazione del vivente, ad esempio –, nella meccanica di condivisione di quel bene comune che è la natura, agiscono in senso contrario all’equità. L’intero modello economico sul quale riposano le nostre società si contrappone frontalmente al giardino planetario, non solo danneggiando gli equilibri dell’equa condivisione dei beni comuni, ma anche alterando le capacità biologiche del giardino stesso, minacciando così la vita sulla Terra. In quel giardino, il giardiniere ha urgente bisogno di un assistente preparato e insieme sognatore: di un nuovo economista.