Giorgio Agamben, Idea della pace

Idea della pace
di Giorgio Agamben


Da quando la riforma della liturgia ha reintrodotto nella messa il segno di pace scambiato fra i fedeli, ci si è accorti, non senza disagio, che questi candidamente ignoravano che cosa un tal segno potesse mai essere, e, poiché l’ignoravano, dopo qualche istante di perplessità, ricorrevano all’unico gesto familiare e si davano, senza troppa convinzione, la mano. Il loro gesto di pace era, cioè, quello stesso che, nelle contrattazioni dei mercati e delle fiere paesane, sancisce il raggiungimento dell’accordo.
Che il termine pace indicasse in origine un patto e una convenzione è scritto nel suo stesso etimo. Ma il termine che, per i latini, indicava lo stato che da quel patto derivava non era pax, ma otium, le cui incerte corrispondenze nelle lingue indoeuropee: (gr. ausios, vuoto, autōs, invano; got. aupeis, vuoto; isl. aud, deserto) convergono verso la sfera semantica del vuoto e dell’assenza di finalità. Un gesto di pace potrebbe essere, allora, soltanto un gesto puro, che non vuol dire nulla, che mostra l’inattività e la vacuità della mano. E tale è, in effetti, presso molti popoli, il gesto del saluto; ed è, forse, proprio perché la stretta di mano è, oggi, semplicemente un modo di salutarsi, che, chiamati dal sacerdote, i fedeli fanno inconsapevolmente ricorso a questo gesto incolore.
La verità è, però, che non c’è, non può esserci un segno di pace, perché vera pace sarebbe solo là dove tutti i segni fossero compiuti e smorzati. Ogni lotta fra gli uomini è, infatti, lotta per il riconoscimento e la pace che segue a tale lotta è soltanto una convenzione che istituisce i segni e le condizioni del mutuo, precario riconoscimento. Una tale pace è sempre e solo pace delle nazioni e del diritto, finzione del riconoscimento di un’identità nel linguaggio, che proviene dalla guerra e finirà nella guerra.
Non il richiamarsi a segni e immagini garantiti, ma che non ci si possa riconoscere in alcun segno e in alcuna immagine: è questa la pace – o, se si vuole, quella letizia che è più antica della pace e che una mirabile parabola francescana definisce come una dimora – notturna, paziente, spaesata – nel non riconoscimento. Essa è il cielo perfettamente vuoto dell’umanità, l’esposizione dell’inapparenza come unica patria degli uomini.