Jeff Wall, Gestus

Il mio lavoro si basa sulla rappresentazione del corpo. Nel medium della fotografia, tale rappresentazione dipende dalla costruzione di gesti espressivi che possano fungere da emblemi. «L’essenza deve apparire», dice Hegel, e, nel corpo rappresentato, appare come gesto che sa d’essere apparenza.
«Gesto» indica la posa, o l’azione, che proietta il suo significato in quanto segno convenzionalizzato. Questa definizione è di solito applicata ai gesti pienamente realizzati, teatrali, identificati nell’arte della prima modernità, in particolare nel Barocco, la grande epoca della rappresentazione pittorica del dramma. L’arte moderna ha necessariamente abbandonato questi aspetti teatrali, in quanto i corpi che interpretavano tali gesti non dovevano abitare le città meccanizzate, esse stesse emerse dalla cultura del Barocco. Quei corpi non erano legati alle macchine, o da queste sostituiti nella divisione del lavoro, né delle macchine avevano paura. Dal nostro punto di vista, quindi, essi esprimono felicità anche quando soffrono. La cerimoniosità, l’energia e la sensualità della gestualità dell’arte barocca sono sostituiti, nella modernità, da movimenti meccanici, da reazioni automatiche, risposte involontarie e compulsive. Ridotte al livello di emissioni d’energia biomeccanica o bioelettrica, queste azioni non sono realmente «gesti», nel senso sviluppato dall’estetica più antica. Sono fisicamente più piccole di quelle dell’arte più antica, più condensate, più avare, più rovinose, più rigide, più violente. La loro piccolezza, comunque, corrisponde all’incremento dei nostri strumenti d’ingrandimento, nella realizzazione e nella visualizzazione delle immagini. Io fotografo tutto continuamente in primo piano, e lo proietto avanti con una continua esplosione di luce, ingrandendolo ancora, al di là del suo ingrandimento fotografico. Le piccole azioni contratte, i movimenti del corpo involontariamente espressivi, che si prestano così bene alla fotografia, sono ciò che rimane, nella vita di ogni giorno, di una più antica idea di gestualità come forma corporea e pittorica della consapevolezza storica. Forse questo doppio ingrandimento di ciò che è stato reso minuto e scarno, di ciò che ha evidentemente smarrito il suo significato, può sollevare un po’ il velo sulla oggettiva miseria della società e sulle catastrofiche conseguenze della sua legge di valore. Il gesto crea verità nella dialettica del suo essere-per-un-altro – sul piano dell’immagine, del suo essere-per-un-occhio. Io immagino quest’occhio come qualcosa che si sforzi per – e desideri di – far esperienza della felicità, e conoscere la verità sulla società.