Leonardo Piasere, Un razzismo disconosciuto

Un razzismo disconosciuto
di Leonardo Piasere

Un ghostbuster, un acchiappa-fantasmi, si aggira per l’Europa: l’antiziganismo. Possiamo per un istante chiamare antiziganismo quel fenomeno sociale, psicologico, culturale e storico che vede in quelli che individua come “zingari” un oggetto di pregiudizi e stereotipi negativi, di discriminazione, di violenza indiretta o di violenza diretta. L’antiziganismo combatte gli zingari, ma per poterli combattere li ha dovuti prima inventare. L’antiziganismo poggia su un apparente paradosso: combatte un fantasma, gli zingari, che esso stesso ha costruito. Zingari e antiziganismo si corrispondono poiché, per citare il Sartre de L’antisemitismo, cambiandone il soggetto, se «è l’antisemita che fa l’ebreo», nel nostro caso è l’anti-zingaro che fa lo zingaro. L’antiziganismo è allora uno dei tanti ghostbusters che annebbiano tante coscienze collettive europee o euro-discendenti. Come ogni caccia ai fantasmi e alle allucinazioni, esso ha bisogno di capri espiatori materiali, tangibili, fatti di carne e di ossa: a seconda del luogo e del tempo, capri espiatori dell’antiziganismo sono stati o sono persone che si dicono rom, sinti, manuš, calon, travellers, romaničel ecc., ma a volte anche persone che non si dicono niente e che sono individuate come “zingari” per certi loro comportamenti ritenuti tipici degli zingari, appunto. A partire dall’incontro con costoro, l’antiziganismo ha creato una nuvola che si è allargata sempre più, ispessita sempre più, sostanzializzata sempre più, fino ad avere, la nuvola, una vita propria. L’antiziganismo combatte questa nuvola e perde, come don Chisciotte perdeva con i mulini a vento. Quando può capitare che, combattendo la nuvola, sbatta contro la carne dei suoi capri espiatori, allora rom, sinti ecc. a volte soccombono, e vediamo nel corso della storia che qua e là delle loro comunità scompaiono; a volte sfuggono, in grandi o piccoli gruppi, e si sgranano, si riuniscono, si risgranano; a volte si adattano, spesso costruiscono strategie di negoziazione sfruttando giusto i pregiudizi di cui sono oggetto; a volte vincono e diventano più forti di prima, costruiscono allora comunitarismi contro-egemonici potenti, che fanno spesso dell’invisibilità, ma a volte anche dell’iper-visibilità, il loro cavallo di battaglia. La vita terrena di tanti rom, sinti ecc. è votata a questa difesa e la loro intelligenza deve essere dedicata quotidianamente al contenimento dell’antiziganismo che li perseguita; essi vi devono investire energie individuali e collettive che potrebbero essere ben altrimenti spese. Infatti, quando l’antiziganismo offre loro delle pause, la creatività di tanti di loro esplode, la tranquillità di tanti altri li rende finalmente dei normali cittadini.
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Siccome una delle caratteristiche fondamentali dell’antiziganismo è quella di negare la propria esistenza, allora prima di tutto dobbiamo dire che l’antiziganismo esiste: uno studio pubblicato nel 2012 per opera di un’équipe di psicologi sociali olandesi ha dimostrato che quella che essi chiamano la “romafobia” è un fenomeno ben isolabile da altre fobie etniche, quali l’islamofobia, l’antisemitismo, l’anticinesismo ecc. Ossia, l’antiziganismo ha sue proprie paure che a volte si sovrappongono ad altre paure ma a volte mantengono caratteristiche peculiari. Essendo gli zingari uno stereotipo collettivo peculiare, le idee che lo costituiscono sono in parte peculiari. Per esempio, uno studio psico-sociale pubblicato nel 2011 in Italia ha mostrato che sia romeni che rom ispirano un sentimento di minaccia, un senso di insicurezza, di inquietudine e di paura, ma per quel che riguarda i rom la valutazione è più pesante e negativa, attribuita soprattutto al fatto che essi vivrebbero in promiscuità con gli animali. D’altra parte, il giudizio negativo sui romeni è spesso una proiezione derivante dal giudizio estremamente negativo che viene assegnato ai rom romeni.
Se abbiamo dovuto aspettare il 2012 perché un’équipe di studiosi ne dimostrasse scientificamente l’esistenza con tanto di analisi psico-sociale, analisi fattoriale ecc., come d’altra parte abbiamo dovuto aspettare questi ultimi anni per approfondire la memoria del genocidio zingaro ad opera dei nazisti, è perché l’antiziganismo è stato finora un fenomeno che si è mantenuto nascosto nelle pieghe delle coscienze collettive europee. Lorenzo Guadagnucci ha scritto che «ciò che oggi condanna i rom, è la mancata elaborazione storica, culturale, sociale dell’antiziganismo». Se abbiamo in buona parte elaborato l’antisemitismo in seguito al lutto provocato dall’olocausto degli ebrei, non abbiamo invece elaborato l’antiziganismo, poiché non vi è stato un lutto collettivo in seguito al genocidio degli zingari, il quale è rimasto sconosciuto, misconosciuto, se non volutamente non-riconosciuto per decenni. Carlo Stasolla, presidente di un’associazione che si occupa di diritti umani, ha enumerato in un piccolo volume del 2012, intitolato Sulla pelle dei rom, gli interventi dell’amministrazione comunale della città di Roma nel periodo 2008-2011, interventi resi possibili grazie a un decreto del governo Berlusconi del maggio 2008 intitolato Stato di emergenza in relazione agli “insediamenti di comunità nomadi” nel territorio delle regioni Campania, Lombardia e Lazio. Gli interventi dell’amministrazione romana, di centro-destra, andavano sotto il nome di “Piano Nomadi”, e hanno previsto la realizzazione di campi recintati con tanto di telecamere a circuito chiuso, presenza di vigilantes, centri di raccolta ecc. Pochi, per esempio Amnesty International, hanno reagito a quella politica; anzi, frotte di associazioni hanno mandato i loro volontari o pseudo-volontari stipendiati, con tanto di diplomi in psicologia, pedagogia, sociologia, antropologia, cooperazione…, a svolgervi servizi di aiuto-sostegno-cura-ecc. Molte di queste associazioni e cooperative, si dice oggi, erano in mano alla mafia romana. Il tutto ha dimostrato quanto poco, appunto, l’antiziganismo sia consapevole. Proprio per cominciare ad elaborare questa forma di razzismo che abbiamo criptato nelle nostre coscienze, [invito] a mettere la parola “ebreo” ogni volta che compare la parola “rom” o “zingaro” o “nomade” e a riflettere sull’effetto che farebbe a sentir parlare del “Piano ebrei”; del “Centro di raccolta ebrei”; dei “villaggi della solidarietà per ebrei”; delle “prime elezioni di un campo ebrei d’Europa”; a sentir dire che “la gestione della pulizia del ‘villaggio attrezzato’ di Castel Romano è stata destinata ai presidenti delle cooperative ebree per ripagarli di aver accettato il trasferimento”; che “nel 2006 il Comune di Roma ha speso, per i 5.200 ebrei regolarmente presenti, 15 milioni di euro. Circa 250 euro a ebreo al mese”; a sentire le parole della vice-sindaco: “noi non ci siamo mai impegnati sul fronte case che sarebbero certo la soluzione finale migliore, ma non riguarda il Piano ebrei di Roma capitale”, dove l’espressione “soluzione finale” fa da sola accapponare la pelle; o le parole di quest’“ebrea” che vive in un centro di accoglienza fuori città: “Ho sentito che vogliono toglierci i bambini […] a me questo non potrà mai accadere, se ci provano scateno la fine del mondo”, forse sapendo che tante e tante altre madri “ebree” in questi anni non sono state in grado di scatenare la fine del mondo, come dirò subito. Che effetto fa tutto ciò?
Se riusciremo a liberare le nostre coscienze dalla mancata elaborazione di quell’antiziganismo che abbiamo succhiato dal latte delle nostre madri, allora l’antiziganismo contemporaneo ci apparirà quale è: non solo un fenomeno che aspetta ancora una elaborazione, ma un cancro che dal populismo si è ben diffuso nella democrazia razzista di tanti benpensanti.