Paul Steinbeck, Great Black Music

Great Black Music
di Paul Steinbeck

Dal loro arrivo in Francia nel 1969 i membri dell’Art Ensemble [adottarono] «Great Black Music» come slogan del gruppo (in seguito aggiunsero «Ancient to the Future», un’idea di Favors).
Dietro la frase «Great Black Music» c’erano profonde implicazioni etiche. Bowie riteneva che aiutasse l’Art Ensemble a evitare la perdita di «dignità» subita dai musicisti cui era stato impedito di dare un nome a ciò che avevano creato. Come ebbe orgogliosamente a dichiarare, «siamo fra i pochi gruppi musicali che abbiano saputo dare un’etichetta alla propria musica, le abbiamo dato un nome nostro […]. In precedenza non ci era mai stata concessa nemmeno la dignità di scegliere un nome per la nostra musica». Secondo Moye questo rifiuto della dignità e dell’azione era spesso legato all’ingiustizia economica. «Quei termini», osservava, «sono sempre stati coniati da gente che finiva per trovarsi nella posizione adatta per sfruttare la musica». Proclamare la Grande Musica Nera, dunque, consentiva ai membri del gruppo di assumere il controllo di sé stessi e di esigere dall’industria musicale un trattamento morale. Inoltre, la sfera etica descritta dalla Grande Musica Nera si estendeva ben al di là degli affari specifici del gruppo. I musicisti non intendevano rappresentarsi, o rappresentare i loro colleghi dell’Aacm, come i soli esponenti della Grande Musica Nera, anzi usavano la frase per onorare i loro antenati musicali: persone ma anche intere società il cui contributo alla cultura globale era rimasto ignorato fin troppo a lungo. Favors e Bowie discussero questo aspetto della Grande Musica Nera in un’intervista con Rafi Zabor:

Favors: Molta gente ci critica per l’uso di questa espressione ma, per quel che so della storia, nessuno riconosce mai al popolo nero di aver fatto qualcosa. Nessun altro dirà mai che la tal cosa è Nera o Africana. Hanno tentato di portarci via anche il cosiddetto jazz, oppure hanno detto che l’ha creato un tizio, mentre in realtà sono stati i nostri antenati a crearlo. Ecco perché dobbiamo sottolineare i termini della cosa.
Bowie: Sono andato a vedere la Compagnia di Danza Senegalese, c’era uno che ha suonato una canzone di 2500 anni fa e aveva tutte le caratteristiche della forma-sonata. Ora, cosa succedeva in Italia 2500 anni fa? Ci hanno sempre fatto credere che tutto ciò che si faceva in Africa era suonare tamburi e ballare. Non abbiamo mai saputo nulla di quei tipi che usavano la respirazione circolare, le ance, gli oboi, i cori e tutto il resto… L’uomo viene dall’Africa, anche gli scienziati devono ammetterlo! E lo stesso la musica, ecco perché è tanto potente.

I membri dell’Art Ensemble studiarono molti stili musicali tradizionali e contemporanei dell’Africa Settentrionale, Meridionale, Centrale e Occidentale, e lo slogan del gruppo esprimeva la loro convinzione che tutte le musiche africane, a dispetto delle differenze, fossero in definitiva correlate. La Grande Musica Nera, in altre parole, era un concetto panafricano. Non era limitato da divisioni etniche o da confini fra le nazioni africane; non riguardava neppure esclusivamente il continente africano. Per l’Art Ensemble la Grande Musica Nera si poteva avvertire in tutta la diaspora africana: «Quando diciamo “Great Black Music”», spiegava Favors, «ci riferiamo a tutta la grande musica nera che ha influenzato la musica statunitense, la musica sudamericana e il mondo intero». È significativo che gli stili della Grande Musica Nera emersi nella diaspora globale fossero sullo stesso piano delle forme nate in Africa. Questa concezione inclusiva della Grande Musica Nera fu un’ininterrotta fonte d’ispirazione per l’Art Ensemble. Come ha detto Jarman, «rhythm and blues, rock and roll, spiritual, Swing, dixie, reggae, bebop, funky: tutto ciò è a nostra disposizione, dal momento che pratichiamo la Grande Musica Nera». L’elenco di Jarman conteneva alcuni fra i più significativi stili della musica del Novecento, e i membri dell’Art Ensemble credevano fermamente che la Grande Musica Nera avrebbe continuato a essere un elemento vitale della cultura globale anche nel Ventunesimo secolo e oltre. Ciò significava che la Grande Musica Nera, nelle sue molteplici manifestazioni dall’«Antichità al Futuro», non aveva limiti. «Possiamo essere liberi», rifletteva Bowie, «di interpretare qualunque cosa sia mai stata suonata, e anche ciò che non è mai stato suonato». E continuava: «Sento che abbiamo creato una vera musica MONDIALE, fatta della musica di ogni luogo, destinata a gente di ogni luogo».
Lo slogan dell’Art Ensemble apparve in un momento storico in cui razza ed etnia erano intensamente politicizzate, perciò alcuni critici lo respinsero ritenendolo riduttivo, più adatto a una marcia di protesta che al palco di un concerto. L’interpretazione che i musicisti ne davano, tuttavia, non era affatto monodimensionale. La Grande Musica Nera era al contempo una teoria panafricana della cultura, un’espressione di consapevolezza della diaspora e la radicale dichiarazione che la musica nera poteva essere qualunque cosa l’Art Ensemble volesse che fosse. Quest’ultima prospettiva era particolarmente significativa per Mitchell, che sul rapporto fra la Grande Musica Nera e il proprio sentimento di identità personale ebbe a dire:

La musica non ha colore, la musica è infinita […]. Ma io rispecchio allo stesso tempo la mia esistenza in quanto uomo nero e il mondo in cui vivo, un mondo nel quale è sempre più facile comunicare con tutti i tipi di individui e di culture. In poche ore puoi essere fisicamente dall’altra parte del globo. In pochi secondi puoi scambiare le tue idee, i tuoi sentimenti, le tue impressioni con chiunque, dovunque. L’esperienza di base, però, è sempre la stessa: esprimi ciò che ti influenza, ciò che ti fa procedere nella conoscenza degli esseri e delle cose, e nella costruzione di un vocabolario e di una lingua che ti permettano di parlare liberamente e di essere te stesso quando sei in contatto con gli altri.