Conrad ha scritto l’epopea dell’epoca coloniale morente, e All’estremo limite è uno dei suoi romanzi esemplari. Gira attorno al capitano Whalley nel suo ultimo viaggio in mare, con il segreto inconfessabile che si porta addosso. I mari sono gli orientali Mari del Sud, sotto il sole cocente e i vapori dei Tropici; un’era di avventure sta per finire, e il futuro prossimo è buio e chiuso.
All’estremo limite (The End of the Tether) è del 1902. Qui nella traduzione intensa di Gianni Celati, pubblicata per la prima volta.
«Tutto considerato, gli uomini non erano cattivi – erano soltanto stupidi e infelici».
Joseph Conrad (1857-1924), nato da famiglia polacca, vent’anni di vita di mare, a partire dal 1874 quando era appena diciassettenne. Da qui, da questa epoca della sua vita, vengono tanti temi dei suoi romanzi, che ha sempre scritto in lingua inglese, la lingua – come ha detto lui stesso – che lo aveva adottato, senza la quale, senza le sue cadenze e il suo genio, non avrebbe potuto scrivere un rigo. Il successo è arrivato tardi, verso i sessant’anni, quando aveva da tempo già pubblicato i suoi memorabili e oggi classici romanzi: Un reietto delle isole (1896), Lord Jim (1900), Cuore di tenebra (1902), La linea d’ombra (1917), per citarne solo alcuni.