Traendo frutto dalla sua lunga esperienza nel campo dell’archeologia africana, l’autore propone qui una nuova via metodologica all’interpretazione delle tracce materiali lasciate dalle più antiche culture. A essere ripensato, nei suoi metodi di lavoro ma soprattutto nel modo di guardare le testimonianze del passato, è proprio il mestiere dell’archeologo, nel suo confronto con le testimonianze “dimenticate” – dell’uomo preistorico, ma anche dell’uomo contemporaneo.
È un approccio che tiene conto delle tracce “immateriali”, più difficili da cogliere, ma inestimabili, pur nella loro fondamentale “incertezza”, per chi ambisca a restituire una dimensione sensoriale più estesa alla ricostruzione del passato. Solo così è possibile ascoltare il racconto che anche i più modesti reperti – odorosi di fumo, di cibo e di terra – custodiscono, rivelando, al pari dell’arte, le tracce dell’“archeologia della bellezza” celata nell’immenso giacimento dell’umana quotidianità, anche in quella di un lontano passato senza memoria scritta. L’esperienza dell’invisibile e dei residui fantasmatici dell’uomo preistorico, inoltre, risulta di grande utilità materiale per l’antropologo, che può infatti riconoscere nel presente, in alcune abitudini e atteggiamenti – pratici quanto mentali – delle tribù del deserto, gli echi di un’antichità immemoriale.
Giulio Calegari, architetto, è docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. È responsabile della Sezione di Paletnologia del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, socio fondatore e responsabile scientifico del settore archeologico del Centro Studi Archeologia Africana, per cui ha curato le spedizioni archeologiche dal 1983. Dirige il periodico «Archeologia Africana – Saggi occasionali». Dagli anni ’60 ha sviluppato una ricerca artistica a carattere performativo sovente ricondotta alla sfera “antropologica”, proposta in ambiti prettamente scientifici piuttosto che in gallerie o luoghi deputati all’arte.