I poeti meritano ascolto? O qualcuno sta abdicando al proprio ruolo? Questo libro raccoglie le diverse meditazioni di uno dei protagonisti della poesia italiana dagli anni Ottanta a oggi.
Saggi, interventi a convegni e seminari, prove di autoanalisi, interviste, occasioni in cui la consapevolezza sul proprio fare non impedisce di parlare anche a nome dei compagni di strada.
Ne risulta un quadro, ordinatamente cronologico, delle questioni che via via si sono poste come centrali per la poesia italiana degli ultimi trent’anni: la reinvenzione di un lettore, le istanze del quotidiano, il significato del classico, le forme chiuse e la metrica libera, il rapporto tra realtà e verità, che cosa sia l’impegno nella polis.
Dagli interventi che diedero vita alla poetica di «Scarto minimo», una delle riviste di culto della seconda metà degli anni Ottanta, ai più recenti affondi su ritmo, sintassi, intonazione dei testi, il poeta apre senza riserve le porte della sua officina e ci fornisce gli strumenti per penetrare il segreto di una tecnica che diventa stile, al confine di etica ed estetica.
Una forma rara di testimonianza, che oscilla tra la dedizione al silenzio e la volontà di condivisione del dire, come fa la poesia. Un libro per tutti e per nessuno.
Stefano Dal Bianco (Padova 1961) ha scritto quattro libri di poesia: La bella mano (Crocetti 1991), Stanze del gusto cattivo (in Primo quaderno italiano, Guerini e associati 1991), Ritorno a Planaval (Mondadori 2001; LietoColle 2018), Prove di libertà (Mondadori 2012). Con Mario Benedetti e Fernando Marchiori ha diretto la rivista «Scarto minimo». È stato nella redazione di «Poesia». Insegna Poetica e Stilistica all’Università di Siena. Come studioso si è occupato della metrica di Petrarca, Ariosto, Andrea Zanzotto, e di poesia del Novecento. Di Zanzotto ha curato il Meridiano Mondadori nel 1999 (con Gian Mario Villalta) e l’Oscar Tutte le poesie (2011).