Cos’hanno in comune l’Apollo e Dafne del Bernini, i film di Antonioni – ma anche di Fellini, Hitchcock e Scorsese –, le arie di Monteverdi e di Dvořák, gli scritti di Baudelaire – ma anche di Marguerite Duras,
Flaubert, Dante... – e la vita dell’attrice Vivien Leigh?
Li lega, con raffinata inventiva, il percorso di riflessione e analisi che
Roberto Cavasola compie attorno al disturbo bipolare, con l’intento
di dimostrare la necessità di una clinica differenziale e l’esigenza di
recuperare la categoria diagnostica della psicosi maniaco depressiva.
Con il sussidio di una ricchissima letteratura – che ha il suo centro
in Jacques Lacan, ma spazia tra Freud, Jacques-Alain Miller, Serge
Cottet, Colette Soler, Geneviève Morel e parecchi altri studiosi –,
l’autore guida il lettore in un appassionante viaggio nella psicoanalisi
e nella psichiatria contemporanea.
Nonostante la tecnicità delle tematiche affrontate, il testo può essere
una piacevole lettura anche per i non addetti ai lavori, poiché illustra
le sue tesi con moltissimi casi clinici esemplari, si affida a un ampio
ventaglio di registri narrativi e – come dimostra il suo esame della
«strana storia dell’Imipramina e di quella ancora più rocambolesca
del Litio» – si incardina, con grande realismo pratico, in un argomentato atteggiamento critico nei confronti delle case farmaceutiche, accusate di aver esercitato delle pressioni «per cercare di far corrispondere ad ogni diagnosi l’uso di un farmaco».
Roberto Cavasola, psichiatra e psicoanalista, è docente dell’Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza, e di Psicomed presso Neuromed (Pozzilli). È membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano e dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi. Ha tradotto testi di Lacan e scritto articoli per riviste come «La Psicoanalisi», «Attualità lacaniana» e «European Journal of Psychoanalysis». Per Quodlibet ha pubblicato L’isteria, la depressione e Lacan (2013) e Bipolare? La melanconia, la mania, il suicidio e Lacan (2020).