A cura di Andrea Pinotti
Traduzione di Carmela Armentano
In una civiltà come la nostra attuale in cui, come scrive Sergio Bettini, «l’esistere prevale sull’essere (l’attività pratica sulla contemplazione eidetica, la politica
sulla filosofia ecc.), anche nella struttura dei linguaggi artistici il tempo prevale
sullo spazio, l’espressionismo prevale sull’impressionismo, le arti industriali o
applicate, e l’architettura, prevalgono sulla scultura delle statue e sulla pittura
dei quadri (la differenza classica tra grande arte ed arti minori si attenua fino a
scomparire)», in un’epoca che, dunque, invoca più che mai categorie adeguate
per essere in grado di comprendere sé stessa, i contributi degli storici dell’arte
della Scuola di Vienna e in particolare del suo esponente centrale Alois Riegl
restano un patrimonio pressoché intatto, tutto da spendere.
Riegl è noto, appunto, per avere affinato gli strumenti atti a mettere a fuoco il potenziale espressivo dei periodi abitualmente definiti di «decadenza»,
scardinando dalle fondamenta ogni vulgata in cui fanno da guida il culto
per il «classico» o per la creatività autoriale. Resta paradigmatico, a riguardo,
il suo studio sull’artigianato artistico di Industria artistica tardoromana (1901),
che fa seguito alla sua celebre indagine storico-teorica sull’ornamento dei
Problemi di stile (1893).
Nel presente lavoro, tradotto qui in entrambe le sue versioni peraltro
mai pubblicate in vita dall’autore (1897-1899), si affronta il senso del processo artistico sulla scorta del confronto dell’uomo con la natura, dove però
non si tratta di imitare la natura (anzi, per Riegl, quanto più è perfetta l’imitazione, tanto più l’opera fallisce), ma di competere con essa e migliorarla. In
questo quadro – che varia nel tempo e in base al quale vengono rilette in
una vertiginosa rassegna tutte le epoche della storia dell’arte dall’antichità
alla modernità – egli identifica una serie di «elementi» costanti per cui storicamente l’opera d’arte si costituisce come tale (fine, materia prima, tecnica, motivo, relazione forma-superficie) e che, come nella struttura delle lingue storiche, si declinano in maniera diversissima a seconda delle necessità
espressive che il tempo e il luogo richiedono. Ecco, dunque, l’ambizioso
progetto di questa grammatica storica, restato forse non per caso allo stato
di abbozzo, e che tuttavia ci offre una serie di strumenti sofisticati per confrontarci con l’arte del presente e del passato.
Alois Riegl (Linz 1858-Vienna 1905) è considerato uno dei massimi esponenti della cosiddetta scuola viennese di storia dell’arte. I suoi studi sull’arte tardoantica, orientale, medievale e barocca hanno aperto la strada alla riscoperta di ampi e importanti settori della storia dell’arte, ma soprattutto hanno dato avvio all’elaborazione di una nuova metodologia critica e storiografica, la cui influenza va molto al di là dell’ambito delle arti figurative.
Meditando sulla figurazione come operazione analoga, ma non identica al linguaggio, Riegl propone una «dottrina elementare dell’arte figurativa», interrogandosi su quegli elementi fondamentali che, nel divenire storico, costituiscono una rete strutturale di invarianti della rappresentazione visiva: i fini della produzione delle immagini, i loro motivi e il fondamentale rapporto tra superficie e profondità. Si intrecciano così la grande lezione del purovisibilismo, la polemica contro ogni materialismo tecnicistico e un’attenzione alla storia dell’arte come storia delle visioni del mondo; ciò che avrebbe innervato, ben al di là dei confini disciplinari, la riflessione intorno all’immagine di autori così diversi come Benjamin e Spengler, Panofsky e Wind, Deleuze e Feyerabend.