L’idea di un inizio nel e dal nulla, rintracciabile nella teologia giudaica,
islamica e cristiana, trasmigra da Platone a Dante, fino a Hannah Arendt.
Ma è nelle arti visive che rivela una valenza affatto singolare: a partire dalla
preistoria, gli esseri umani realizzano figurazioni la cui emergenza, difficilmente ascrivibile a cause determinate, può persino coincidere con una
svolta antropologica in grado di ridefinire la nostra condizione emotiva,
mentale e esistenziale.
Un’opera d’arte segna sempre un nuovo inizio, una cesura, una mutazione priva di antecedenti. Qualcosa appare in seguito a un vuoto, sfuggendo ai vigenti criteri di intelligibilità, siano questi tecniche, convenzioni, modalità espressive, credenze o abitudini mentali. Sorprendendo
sia chi la crea sia chi ne fruisce, l’opera rappresenta un’estraneità di cui il
mondo non aveva necessariamente sentore né aspettativa.
Nella modernità, l’aliena soglia dell’inizio sostiene il dubbio creativo
di Michelangelo, ispira la critica d’arte di Denis Diderot, anima il senso di
qualità teorizzato da Bernard Berenson e viene rimossa nell’anti-umanesimo di Andy Warhol.
Nel quadro di una prospettiva paradossalmente storicizzante, il libro
tenta di dare conto dell’ex nihilo artistico e della sua operatività, invitando
a giudicare l’arte passata e presente al di là delle volatili oscillazioni del
gusto di cui si nutre la demagogica supposizione di una moltiplicazione
inarrestabile dei prodotti creativi.
Gabriele Guercio è uno storico dell’arte e saggista. Tra i suoi libri ricordiamo Art as Existence. The Artist’s Monograph and Its Project (2006), The Great Subtraction (2012) e L’arte non evolve. L’universo immobile di Gino De Dominicis (2015). Per Quodlibet ha pubblicato Il demone di Picasso. Creatività generica e assoluto della creazione (2017).