La poesia di Yang Wanli, dal nome d’arte di Cheng Zhai («Studio – nel senso di laboratorio – della sincerità»), ci presenta intatta a distanza di quasi un millennio l’immagine di una natura restituita alla vita quando
una fantasia smisurata ne personifica le forze e ne intuisce le volontà.
Nei circa 20.000 componimenti che formano il suo sterminato lascito si avverte il rispetto callido, partecipe, navigato per la natura nei suoi diversi aspetti, con una fiducia generata dalla consapevolezza che
questa può essere capita solo ubbidendole, e che un comportamento
esistenziale dignitoso si trova quando si riesce a rinunciare alla pretesa
di controllo su quello che può essere invece vissuto a pieno solo se a
tale controllo si impara a rinunciare.
Secondo l’insegnamento, la stesura delle poesie dovrà avvenire in
uno stato di wu wei (letteralmente
«non-fare»), cioè comportare un’azione non finalizzata, un’intenzione non intenzionale, priva di interferenze
mentali; il che è possibile solo sviluppando la facoltà di non aderire
passivamente e inconsapevolmente agli oggetti del pensiero, e quindi la
capacità di non rispondere in modo obbligato o compulsivo agli impulsi, esterni o interni che siano.
Le tappe di un viaggio a sud del fiume Azzurro, su barche che solcano
laghi e fiumi, navigando in zone selvagge, alle prese con le asperità delle
stagioni e gli animali selvatici; la poesia come ascolto delle parole di un
universo sensibile e animato, la cui essenza più vera è di solito oscurata dai
feticci del noto, del risaputo; uno studio della sincerità che, per il lettore
occidentale di oggi, è in grado di rinnovare quella schiettezza di visione e
percezione di fronte al reale che forse, sola ormai, potrebbe salvarci.
Inedita in Italia, la poesia di Yang Wanli è qui presentata in un’ampia
antologia con testo cinese a fronte nella traduzione di Paolo Morelli, un
autore da sempre attento a quella visione del mondo.
Yang Wanli (1127-1206) è uno dei «quattro maestri» della poesia cinese nella dinastia dei Song meridionali. Nato nello Jiangxi, per tutta la vita affronta gli incarichi pubblici più diversi, intervallandoli a contrasti con le autorità e ritorni nel suo paese natale. Durante questi periodi di ritiro si dedica alla letteratura, conducendo una vita semplice e austera. Dalla sua vastissima produzione aveva raccolto 4.000 poesie in nove sillogi che ebbero edizione dopo la morte, a cura di uno dei suoi figli.