Cosa resta dell’ordine giuridico in una società dominata dagli automatismi
della tecnica, in cui la produzione di leggi sembra rispondere sempre più a
esigenze e interessi estranei alla sfera pubblica? Qual è il compito della scienza
giuridica in una situazione storica segnata da una babele di contesti regolativi
irrelati e spesso in conflitto? E quale, in questo quadro, il destino dell’Europa,
culla e unica erede di una tradizione giuridica più che millenaria?
La situazione della scienza giuridica europea, pubblicato nel 1950 ma scritto
significativamente negli ultimi anni di guerra, è al contempo un’originale
ricostruzione genealogica del diritto moderno e un drammatico appello
alla missione del giurista, chiamato a prendere coscienza del proprio ruolo
di custode dell’autonomia e della dignità del diritto, massimamente in tempo di crisi. È alla scienza giuridica, infatti, che il saggio affida il compito di garantire l’unità politica e culturale dell’intero continente europeo all’indomani del più cruento conflitto della storia dell’umanità. Nelle pagine tanto polemiche quanto appassionate di quello che resta un testo ineludibile per pensare il ruolo del diritto nella tribolata Europa di oggi, Schmitt rievoca i
fantasmi di una storia irrisolta, rimossa troppo in fretta: le lacerazioni della guerra, il fondamento dell’identità europea, la responsabilità della scienza, e non da ultimo lo spettro di un uomo che si richiama alla sacralità di principi di civiltà e conquiste giuridiche che solo pochi anni prima, da goffo apologeta del nazismo, aveva contribuito a distruggere.
Carl Schmitt (Plettenberg 1888-1985) è considerato uno dei massimi giuristi del Novecento, e senz’altro il più contestato. Tra i più acuti interpreti della Repubblica di Weimar, aderì convintamente al nazionalsocialismo, per poi ritirarsi a vita privata nel dopoguerra (nel 1945 gli fu proibito a vita l’insegnamento universitario), non senza continuare a esercitare una considerevolissima influenza sul dibattito politico e giuridico tanto tedesco quanto europeo. Autore di numerose opere, è ricordato soprattutto (e riduttivamente) per la concezione identitaria del politico, per un sopravvalutato decisionismo e per il suo concetto di diritto come ordine concreto. Tra le sue opere principali, pubblicate anche in italiano, ricordiamo Teologia politica (1922), Il concetto di politico (1927/1932), Il Leviatano (1938), Terra e mare (1942), Il Nomos della Terra (1950) e Teoria del partigiano (1962). Di lui Quodlibet ha pubblicato Imperium. Conversazioni con Klaus Figge e Dieter Groh 1971 (2015, 2021), La situazione della scienza giuridica europea (2020) e Costituzione e istituzione (2022).