Se si pensa al Surrealismo in pittura si pensa a Max Ernst. L’arrivo della cassa con
i suoi collage per la leggendaria mostra alla libreria-galleria Au Sans Pareil nel 1921
è raccontata dai testimoni come l’inizio di una nuova era: lì non era più Dadaismo,
c’era del nuovo, c’era il sogno, la visionarietà. Niente di più attuale, in tempi di
“svolta iconica” e di postcollage e postmontaggio.
Abbiamo tutti negli occhi una quantità di opere di Max Ernst, eppure se ne è scritto
e tradotto poco in Italia. Il presente volume cerca di colmare almeno in parte questo
vuoto, ripercorrendone, attraverso testi storici, analisi di riferimento e nuovi
contributi, le vicende e le invenzioni. Dopo il collage, Ernst reinventa il frottage, poi il
grattage, ma insieme ridefinisce molta iconografia e crea immagini del tutto nuove.
Le tecniche per lui sono lo strumento per sollecitare la visione e assistere al processo
di invenzione mentre si sta svolgendo, senza programma precostituito, bensì caricando
di senso le figure di mano in mano che emergono; vedere cioè “il funzionamento reale
del pensiero”, come diceva André Breton nel Manifesto del Surrealismo.
Le sue immagini sono allora insieme fantastiche, enigmatiche – come ha imparato
da Giorgio de Chirico – ma anche stranamente coinvolgenti e convincenti: bambine
minacciate da usignoli, elefanti celibi, uccelli antropomorfi, personaggi dalle mille
forme, paesaggi visionari...