Scritto di getto in poche settimane nell’estate del 1973, quando Jesi aveva appena ideato il suo più noto modello conoscitivo, la «macchina mitologica», Mito è la sintesi della sua ricerca e della sua altrettanto originale formazione. Dalla sopravvivenza delle antiche mitologie nell’umanesimo all’allegoresi di Vico, dal volto duplice e «oscuro» dell’illuminismo a Creuzer e Bachofen, da Wilamowitz fino a Cassirer, Kerényi e Jung, da Malinowski ed Eliade a Dumézil e Lévi-Strauss, passando per Benjamin, la scienza mitologica è colta nella sua rischiosa propensione a farsi «scienza di ciò che non c’è». Ogni mitologia rimanda infatti a un’origine remota, narra di un precedente per definizione inverificabile e proprio per questo dotato di una forza ipnotica che, alimento di tutte le tecnicizzazioni politiche, sarà impiegata nel modo più eclatante dagli apparati totalitari. All’inganno e al fascino delle manipolazioni Jesi non oppone tuttavia una ripulsa umanistica nei confronti dell’ideologia, attitudine che fu propria del suo maestro Kerényi e che «può anche tradursi nell’ovvio sostegno di una respublica humanistarum, cuore puro della società borghese». Egli sposta piuttosto lo sguardo dalla «sostanza-mito» al meccanismo che produce concretamente le mitologie, per coglierne il funzionamento «in flagranti»: ci invita cioè a «indagare innanzitutto come la macchina mitologica funziona, e non l’esistenza o la non esistenza del suo presunto contenuto enigmatico».
Furio Jesi (1941-1980) è stato storico delle religioni, germanista e traduttore. Tra le sue opere ricordiamo Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del ’900 (1967, 2018); Spartakus. Simbologia della rivolta (2000, 2022); Letteratura e mito (1968, 2002); Cultura di destra (1979, 2011); Il tempo della festa (2013). Presso Quodlibet sono usciti Lettura del «Bateau ivre» di Rimbaud (1996), il carteggio con Károly Kerényi, Demone e mito (1999), Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Rainer Maria Rilke (2002, 2020) e Mito (2023).