«Il professor De Sanctis cammina attraverso i secoli centrali della letteratura italiana, attraverso quei secoli che più drammaticamente impegnano le sorti del suo ideale – cammina, dico, con una rosa in mano». Così, fissandolo in una sorta di emblema araldico, Giacomo Debenedetti ha una volta raffigurato Francesco De Sanctis, che nella Storia della letteratura italiana ritorna a più riprese sul motivo della rosa come simbolo della bellezza muliebre tra umanesimo e barocco, da Lorenzo e Poliziano ad Ariosto e Tasso, sino a Marino. A partire dallo spunto di Debenedetti, Giovanni Pozzi allestisce un ampio dossier di testi e lo esamina con minuzia, rinvenendo categorie che combinano originalmente la tematologia con la lezione dello strutturalismo. La rosa in mano al professore, qui ripubblicato per la prima volta dopo la sua uscita nel 1974, inaugura per molti versi la grande stagione saggistica del Pozzi maturo: sia per la qualità stilistica della prosa, sia per il taglio d’analisi. In questo «erbario», in cui la pietas del filologo ricompone i petali delle rose, ormai sfiorite, della nostra letteratura, trova una prima sperimentazione il metodo adottato da Pozzi nei successivi studi sui topoi letterari.
Giovanni Pozzi (Locarno 1923 - Lugano 2002), frate dell’ordine dei minori cappuccini e professore di letteratura italiana all’Università di Friburgo, dove fu allievo di Gianfranco Contini e Giuseppe Billanovich, è stato uno dei maggiori filologi e storici letterari del secondo Novecento. Si è interessato in particolare di barocco, retorica della predicazione, topoi letterari, poesia figurativa. Sue le edizioni critiche commentate dell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (con L.A. Chiappori, Antenore, 1964) e dell’Adone di Giovan Battista Marino (Mondadori, 1976; Adelphi, 1988). Tra le opere saggistiche: La parola dipinta (Adelphi, 1981) e le raccolte Sull’orlo del visibile parlare (Adelphi, 1993), Alternatim (Adelphi, 1996).