Un trentenne, nella pienezza della vita, lascia la sua villeggiatura alpina per accompagnare il padre in quello che sarà l’ultimo viaggio di un vecchio uomo di mare, malato e prossimo alla morte. La meta è Lussino, l’isola istriana (oggi in Croazia) che la famiglia ha lasciato per stabilirsi nella Trieste italo-slava-tedesca, crogiolo di genti e porto dell’Impero
asburgico. L’azzurro dell’Adriatico avvolge genitore e figlio, legati da una muta tenerezza che ripropone, a parti invertite, il fiducioso abbandono che ogni bambino cerca nel padre.
L’isola (1941) narra l’«avvenimento più importante nella vita di un uomo»,
secondo la diagnosi di Freud di cui già
aveva fatto tesoro, a Trieste, lo Svevo della Coscienza di Zeno. Ma è anche il ritratto di un ambiente marino, di un borgo sperduto in fondo a un golfo che Stuparich dipinge con mano felice, ritrovando i colori appresi nell’infanzia, quando (come si legge nel più breve racconto Il ritorno del padre, compreso nel volume) la figura di quell’uomo burbero ed energico era entrata per la prima volta nella sua vita, come un libero vento.
Di Giani Stuparich (Trieste 1891 - Roma 1961), l’ultimo rappresentante della grande stagione della letteratura triestina, Quodlibet ha pubblicato Guerra del ’15 (2015), Un anno di scuola (2017, 2022), L’isola (2019) e Ricordi istriani (2023).