Il Giornale di pittura di Toti Scialoja, redatto tra il 1954 e il
1964, è un laboratorio febbrile di idee, una cronaca esuberante delle esperienze a tutto campo di un inquieto sperimentatore, nel quale riflessione critica, prassi artistica e vita
sono inscindibilmente legate.
Apprezzato come poeta da lettori sensibili quali Giorgio
Manganelli e Giovanni Raboni, che lo ha definito «il talento
poetico più originale e compiuto rivelatosi in Italia nel corso
degli anni Settanta e Ottanta», Scialoja è stato al contempo
uno dei protagonisti dell’arte italiana del XX secolo, specie
nell’ambito della dimensione gestuale e informale. Il Giornale
documenta la fondamentale stagione della maturazione creativa, con i soggiorni a New York e a Parigi, il passaggio alla
«pittura di gesto» e alla novità pittorica e insieme astratta delle
«impronte», l’intenso colloquio e le amicizie con Brandi, de
Kooning, Burri, Afro, Pasolini, Dorazio, Calder, Rothko, Cy
Twombly.
Sono pagine innervate con prepotenza dalla forza della
vita e dell’arte, come se la chiave della creazione fosse tutta
in questo passaggio: «Solo con il caldo, il caldo nel nostro
corpo, si può ottenere di dipingere, di andare avanti. Ma
quel caldo deve nascere dalla mente e dalla morte, deve esser calore di libertà, assolutezza morale, ragione profonda
dell’essere».
Il Giornale di pittura di Toti Scialoja si presenta qui per la prima volta in edizione integrale, fondata sugli originali dattiloscritti e manoscritti, fedele all’ordinamento predisposto dall’autore.
«“Giornale di pensieri per servire alla pittura”, o meglio “Giornale di pensieri sulla pittura” potrebbero intitolarsi questi appunti cominciati a scrivere nella primavera del 1954, in fretta e a lunghi intervalli. Un modo
sbrigativo e quasi automatico di fissare i primi momenti di pensiero che
accompagnavano il nascere della mia nuova pittura, la mia resurrezione.
Via via questo Giornale è diventato una abitudine, e le pagine si sono
infittite. Non si tratta quindi di un Journal intimo, e non vi sono registrati,
se non per frammenti irrisori, avvenimenti, incontri, o emozioni del vivere quotidiano – anche se è un vivere da pittore, e per la pittura. Questi appunti rappresentano piuttosto un graduale prender coscienza, dopo un
faticoso risveglio (e un interminabile letargo). Un procedere per gradi verso una decente consapevolezza intellettuale. La doverosa compitazione di
chi ricomincia da capo. Esperienze probabilmente elementari, affrontate
come scoperte; e il rinnovato tentativo di portare alla luce di un proprio
metro i pensieri anche più semplici. Senza spazientimento: per la prima
volta sentivo di non perdere un filo che restava nella mia mano.
Ho infatti la sensazione, in questo Giornale, di dire sempre la stessa
cosa, ripetere le stesse idee, riscoprire le stesse verità. Se in pochi anni sono
arrivato persino a contraddirmi vuol dire che il mio passo, il mio respiro
è lo stesso; sono le cose che cambiano intorno a me, perché io cammino.
Ripeto, il mio passo è uguale, la direzione, controllata sulle stelle, è sempre la stessa; sono le cose che cambiano.
Le pagine sono lasciate così come sono state scritte di volta in volta (a
parte qualche indispensabile messa a punto formale), e nell’ordine rigoroso
del loro succedersi. Solo a patto di tale documentaria obiettività questo
Giornale, sviluppandosi nel tempo della mia coscienza può valere per me
come la registrazione di una ricerca “in progresso”».
Toti Scialoja (1914-1998) esordì come pittore nel 1937; dopo una prima esperienza espressionista, legata alla scuola romana, giunse dal 1955 all’astrattismo e sperimentò tecniche diverse, dal dripping all’uso di stracci impregnati di colore, dallo stampaggio agli inserti materici. Le sue opere, strutturate negli anni Settanta in elementi geometrici ritmicamente scanditi, dopo il 1982 riproposero un linguaggio di matrice gestuale. Direttore (1982) dell’Accademia di Belle Arti di Roma, dal 1988 realizzò anche sculture. Parte integrante della sua ricerca fu il lavoro per il teatro, al quale si dedicò collaborando con scrittori, musicisti, registi e coreografi d’avanguardia (Vito Pandolfi, Aurel Milloss, Roman Vlad). Tra i suoi allestimenti si ricordano L’opera dello straccione di John Gay (1943, proibita dalle autorità fasciste); i balletti Marsia di Luigi Dallapiccola (1948) e Il principe di legno di Béla Bartók (1950); Traumdeutung di Edoardo Sanguineti (1964), Il Ratto di Proserpina di Pier Maria Rosso di San Secondo (1986). Oltre che in prose liriche (I segni della corda, 1952), la sua vocazione poetica si espresse in numerose raccolte di versi (alcune da lui stesso illustrate) ricche di umorismo, giochi verbali e nonsense (Amato topino caro, 1971; Scarse serpi, 1983; Le sillabe della Sibilla, 1988; I violini del diluvio, 1991). Di Toti Scialoja sono apparsi presso Quodlibet Tre per un topo (2014, 2019) e La zanzara senza zeta (2018).