«Gli eucalipti si spengono, le campane di San Giovanni suonano; e il giorno sparisce come quel suono. Essi sono tristi e dispersi; si sentono morire. Ma una donna che allatta il suo bambino si affaccia da un uscio; placida e dolce; e allora sentono il raccapriccio di se stessi».
Approntata dall’autore stesso, ma
uscita postuma nel 1920 presso
Treves a pochi mesi dalla sua morte,
questa scelta di novelle copre il
periodo della maturità di Tozzi e della
sua ormai avviata affermazione nel
mondo letterario italiano, che, se la
morte prematura non lo avesse
sorpreso, si sarebbe evoluta in sicura
preminenza.
Ma già la nutrita produzione nel breve
arco della sua vita, sia nell’ambito dei
romanzi (tra i quali l’assoluto
capolavoro Con gli occhi chiusi), sia
in quello delle novelle, configura Tozzi
come uno dei massimi narratori
italiani. Autore poco adattabile a un
gusto facile di lettore, impietoso e
crudo come pochi altri nel
disvelamento della condizione umana,
senza l’attenuazione del (pur amaro)
riso pirandelliano o dell’ironia
sveviana, refrattario a ogni rigida
determinazione critica, Tozzi nelle sue
novelle manifesta una rara forza
espressiva, nonché una virtù
innovativa sia nella trattazione dei
temi e dei personaggi che nella
strutturazione formale del narrare. Di
tali qualità è ottimo esempio la
raccolta Giovani, la cui riproposta è
qui accompagnata da una lettura che
per la prima volta si è potuta giovare
di riferimenti alla lezione originaria
(manoscritta o dattiloscritta) dei testi.
Federigo Tozzi (Siena 1883 - Roma 1920) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo e giornalista italiano. Per lungo tempo misconosciuto, è stato rivalutato solo molti anni dopo la sua morte ed è oggi considerato uno dei più importanti narratori italiani del Novecento. Dopo le prose liriche Bestie (1917), pubblicò il romanzo Con gli occhi chiusi (1919) e le novelle poi riunite in Giovani e L’amore (entrambi del 1920).