Basta una breve indagine per constatare che molte forme di vita contemporanee sono contraddistinte da quel che la logica e la psicologia chiamano «ambivalenza». Al riguardo il libro propone una tesi forte: l’ambivalenza non è un dettaglio irrilevante per la nostra specie ma un fenomeno chiave per comprendere, oggi più che mai, l’incastro tra biologia e storia che contraddistingue la natura umana. Quelle che, spesso con aria di sdegno, vengono definite credenze contraddittorie («ti amo e ti odio», «il sapore acido del limone mi piace e disgusta») indicano, innanzitutto, stati di incertezza. La mancanza di orientamento automatico nell’ambiente non costituisce il momento di stallo di un calcolatore impazzito, né rappresenta il punto di appiglio per dire, secondo la moda post-moderna, che «tutto può andar bene». L’ambivalenza, al contrario, è il dato di partenza biologico che caratterizza la struttura del nostro comportamento. Lo stato d’animo della melanconia ne costituisce la più vivida incarnazione emotiva, nel bene e nel male. Da un lato ha un volto rassicurante: sfrutta le potenzialità tipiche dell’incertezza liberando le risorse immaginative della nostra vita linguistica. Dall’altro, però, può assumere connotati terribilmente foschi: se protratto, questo stato di sospensione rischia di smembrare il linguaggio e la prassi umana fino alla sua completa paralisi (come negli stati depressivi) o alla sua caotica disarticolazione (ad esempio nella compulsione maniacale).
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Marco Mazzeo (Roma 1973) insegna filosofia del linguaggio all’università della Calabria. È tra i fondatori della rivista «Forme di vita», collabora alle pagine culturali del quotidiano «il manifesto». Tra le pubblicazioni recenti: Il bambino e l’operaio. Wittgenstein filosofo dell’uso (Quodlibet, 2016), Capitalismo linguistico e natura umana. Per una storia naturale (DeriveApprodi, 2019), Lo que es mío es tuyo. Magia y técnica en la época del contagio (Tercero incluido, 2020), Logica e tumulti. Wittgenstein filosofo della storia (Quodlibet, 2021).