Testo latino e traduzione italiana
A cura e con un saggio introduttivo di Domenico Taranto
Scritto negli anni quaranta del Cinquecento in polemica con i critici delle violenze iberiche nel Nuovo Mondo, il Democrates secundus di Juan Ginés de Sepúlveda (1490-1573) è considerato una delle principali testimonianze dell’approccio tragicamente autocentrato che per secoli ha dominato i rapporti tra l’Europa e il resto del mondo. In quest’opera, l’umanista Sepúlveda – fine lettore dei testi di Aristotele e di Cicerone – si serve della sua vasta erudizione per giustificare le ragioni dei conquistadores, usando argomenti filosofici, giuridici e teologici che culminano nell’affermazione della «barbarie naturale» degli indios. In un momento in cui la cultura occidentale è impegnata in una riflessione a tutto campo sulla propria identità coloniale, il testo di Sepúlveda ha assunto di fatto una nuova attualità e per questo lo si propone per la prima volta ai lettori italiani in una traduzione commentata, corredata del testo originale, che inaugura la collana Societas hominum, specificamente dedicata ai rapporti tra guerra e diritto e agli incontri – e scontri – tra civiltà.
Juan Ginés de Sepúlveda nacque a Pozoblanco, diocesi di Córdoba, nel 1490. Formatosi a Bologna nei primi anni del Cinquecento, fu un commentatore e traduttore dei testi di Aristotele e di Cicerone. Durante il soggiorno italiano scrisse diversi dialoghi e un’opera polemica contro Erasmo; dopo il 1536 ebbe l’incarico di cronista di Carlo V e fece ritorno in Spagna. Stimato per la sua cultura classica, si alienò la simpatia di molti teologi del tempo attaccando le tesi sulla guerra di Francisco de Vitoria e Bartolomé de Las Casas. Morì nel 1573 lasciando inedite molte opere e i suoi scritti storici.