A cura di Manfredo di Robilant
Con 90 illustrazioni a colori nel testo
Questo scritto del 1995 appare qui per la prima volta, e per iniziativa dell’autore, come volume autonomo. Una volta estratto dal suo ciclopico contenitore – il bestseller internazionale S,M,L,XL – esso risulta come trasportato a un livello diverso dell’atmosfera: ha un respiro più ampio che lo rinnova integralmente. E tale effetto è amplificato dal Prologo che Koolhaas, a distanza di quindici anni, ha aggiunto alla presente edizione.
La trasformazione dell’isola di Singapore da malconcio residuato
postcoloniale in sfavillante laboratorio per le più audaci
sperimentazioni della vita associata, architettonico/urbanistiche, ma
anche politico/sociali e giuridiche, si giustappone quasi polarmente ai
fenomeni indagati negli altri libri di Koolhaas già usciti in italiano: Delirious
New York e Junkspace. Questi ultimi ritraggono forze
impersonali che sovrastano ogni illusione di governo da parte dei
singoli (tanto più le pretese degli architetti) e che presiedono allo
sviluppo delle metropoli.
A Singapore, invece, distopica new town permanente dove
l’occidentalità si è del tutto emancipata dalle sue radici, ma resta
tale, nonostante i «nostri» disperati tentativi di disconoscerla con
ogni mezzo, l’autore individua la realizzazione di un esperimento senza
precedenti: «la città rappresenta la produzione ideologica degli ultimi
tre decenni nella sua forma pura, incontaminata da residui contestuali
sopravissuti. È guidata da un regime che ha escluso l’accidente e la
casualità; anche la sua natura è interamente rifatta. È pura intenzione;
se c’è caos, è caos ideato; se è brutta, è di una bruttezza progettata;
se è assurda, è di una assurdità voluta».
Facendo affiorare le «songlines» di Singapore – termine che riecheggia
Le Vie dei canti aborigene di Chatwin, dove nei canti si
individuano miti della creazione e mappe immateriali del territorio –
Koolhaas mostra tangibilmente come anche «l’occidentale», quando è
utopia realizzata, sfocia nella zona di indistinzione fra inferno e
paradiso.
Rem Koolhaas (1944) si forma come giornalista e sceneggiatore cinematografico in Olanda, studiando architettura dalla fine degli anni ’60 prima a Londra e poi New York. Nel 1975 fonda con altri l’Office for Metropolitan Architecture (OMA), e da allora costruisce opere in vari paesi tanto da meritare nel 2000 il Pritzker Prize, il massimo riconoscimento per un architetto.
Koolhaas, al di là della pratica professionale, è un autentico produttore di concetti, svolgendo così il ruolo che per Deleuze dovrebbe essere proprio della filosofia. Inoltre il disincanto koolhaasiano mina alle fondamenta la tradizionale fede nel progresso della cultura architettonica e no (ciò che lo ha reso spesso oggetto di roventi polemiche): «Il cambiamento è stato staccato dall’idea di miglioramento. Il progresso non c’è più; la cultura barcolla di lato senza sosta, come un granchio fatto di Lsd…». I suoi scritti sono distribuiti e tradotti ovunque nel mondo, tra questi ricordiamo: Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan (Electa, Milano 2002); in collaborazione con Bruce Mau, S,M,L,XL (The Monacelli Press, New York 1995); Content (Taschen, Köln 2004).Nel 2010 ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera della XII Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia e ne è stato nominato direttore per l'edizione 2014, Fundamentals.