Vienna, 24 maggio 1916. Alla vigilia del crollo dell’Impero austroungarico, nel pieno del conflitto mondiale e dunque degli Ultimi giorni dell’umanità, Karl Kraus sorprende il suo pubblico leggendo, in luogo di una nuova invettiva contro la guerra, le spensierate schermaglie della commedia shakespeariana Love’s Labour’s Lost. È il primo atto di un progetto ventennale di letture teatrali e riscritture di Shakespeare: il Theater der Dichtung (Teatro della poesia). Finora poco note alla critica e ai lettori, queste “traduzioni d’autore” hanno un’ulteriore particolarità: sono in realtà montaggi di citazioni. Kraus crea il suo Shakespeare smontando le più celebri traduzioni tedesche d’epoca romantica, per poi raffrontarle tra loro e riassemblarne i frammenti in un mosaico originale composto da materiali di seconda mano.
«A Shakespeare», scrive, «bisogna sottrarre Shakespeare». Di qui un singolare, affascinante lavoro di traduzione per via di citazioni, a partire per di più non dall’inglese ma dal tedesco, che Kraus pensa come lingua straniera. Per converso, nel “teatro della poesia” citare equivale a tradurre. Oltre ad essere strumento di satira, dunque, la citazione diventa in quegli anni un gesto per preservare il proprio patrimonio culturale dalle offese della Storia.
Il «genio mimico» di Kraus, come ebbe a definirlo Walter Benjamin, ci invita a ripensare alla citazione e alla traduzione come movimenti, come translationes – da una lingua a un’altra, da un contesto a un altro, da un tempo a un altro tempo – consentendo di far emergere la loro sottile, sorprendente affinità.
Irene Fantappiè dirige un progetto di ricerca DFG alla Freie Universität di Berlino. Formatasi presso l’Università di Bologna e UCL, già borsista Humboldt e ricercatrice alla Humboldt Universität, si occupa di letteratura tedesca e italiana dalla prima età moderna a oggi, particolarmente in relazione a intertestualità e traduzione. Tra le sue pubblicazioni: Karl Kraus e Shakespeare (2012) e L’autore esposto (2016).