Come nasce questo breve trattato? Intorno al 1965 Jacques Roubaud e Pierre Lusson impararono a giocare a go dal loro professore di matematica, Claude Chevalley, che gli aveva prestato alcuni numeri della «Go Review». Insieme fecero la scommessa di riuscire a diffondere il go anche in Francia, e per prima cosa insegnarono a giocare all’amico Georges Perec. Era il 1969 e tutti e tre, per trovare nuovi giocatori, decisero di scrivere questo libro. Si ritrovarono al Moulin d’Andé, in Normandia (il posto dove è stato girato Jules et Jim e dove Perec viveva in quel periodo), e vi rimasero un mese: alle regole principali del go aggiunsero consigli su tattiche e strategia, una breve storia del go dalle sue origini agli anni Sessanta, più tutto quello che veniva loro in mente: proverbi inventati, giochi di parole, leggende, finte citazioni.
Pierre Lusson è stato poi il fondatore della prima Associazione Francese di go, Jacques Roubaud, scrittore e attivissimo «oulipista», scrisse addirittura una raccolta di poesie strutturata su una partita di go, mentre Georges Perec, anche lui membro dell’OuLiPo, continuò a interessarsi ai giochi, linguistici e non, intrecciandoli con la scrittura.
Grazie soprattutto ai tre autori, il gioco è ormai molto diffuso in Francia, dove in tutte le città sono nati club e tornei. Da noi invece il go è ancora poco conosciuto: chissà se il Breve trattato di Perec, Roubaud e Lusson, qui pubblicato per la prima volta in italiano, darà voglia a qualcuno di mettersi a giocare?
Nato in Cina più di 2500 anni fa e introdotto verso il vi secolo in Giappone, dove conobbe il massimo splendore, il go si gioca in due giocatori, muniti di pedine nere e bianche (dette pietre). Lo scopo del gioco è il controllo di una zona del goban (la scacchiera) maggiore di quella controllata dall’avversario e le pietre non vengono mai spostate a meno di non essere catturate. Rimasto immutato nei secoli il go è il gioco più antico tuttora praticato. Il go, ci tengono a precisare gli autori del Breve trattato, «non è il gioco degli scacchi giapponese», ma anzi dev’essere considerato l’«anti-scacchi» per eccellenza.
«Poi per un istante il gioco si illuminerà (e crederemo di aver scoperto tutto, mentre non avremo ancora capito niente): lo scopo, l’immagine, il progetto, l’economia, il principio del gioco, tutto quanto era fino ad allora nebuloso, ci sarà più chiaro. Ma un giorno, con un’intuizione che sarà per noi il più alto grado di coscienza che si può avere del gioco, capiremo che non è mai veramente possibile sapere se si è fatta la mossa che si doveva fare, se si è giocato dove si doveva giocare.
Da questa certezza, che unisce in uno stesso istante libertà e vincolo, intuizione ed esperienza, nasce il panico, che è il benessere supremo del Giocatore di go, al quale non sfuggono i più grandi giocatori, né Honinbo Sakata, né Lin Meijin. Quando, in un giorno ancora lontano, gli avremo insegnato a giocare, il computer, credetemi, giocherà tremando.»
Georges Perec (1936-1982), è una delle maggiori glorie della letteratura francese contemporanea. Venuto giovanissimo agli onori letterari con il suo romanzo d’esordio, Le cose (1965), dal 1967 membro dell’ Oulipo (Ouvroir di Litterature Potentielle), è autore, tra gli altri, de La disparition (1969), W ou le souvenir d’enfance (1975), Je me souviens (1978); il suo romanzo più celebre, La vita istruzioni per l’uso (1978) è stato tradotto in tutto il mondo. Nato e vissuto a Parigi, figlio di ebrei polacchi, Georges Perec aveva un’inconfondibile barbetta crespa e molta passione per l’enigmistica.