Cosa significa cadere, lasciarsi andare, precipitare a valle? Cosa significa abbandonarsi a qualcosa che viene dato in pasto ai nostri sensi? L’esperienza più semplice e immediata della nostra vita rivela una complessità straordinaria se la osserviamo attraverso la lente dell’estetica e quella della psicoanalisi. E viceversa: il tema della riuscita, caro all’estetica e alla teoria delle arti, e il tema della soddisfazione del desiderio, caro alla psicoanalisi, guadagnano un nuovo volto se li lasciamo illuminare dall’esperienza della caduta. Un atto rovinoso e insieme felice che richiede una forma rassegnata di automatismo, di passività, di cedimento e insieme una forma embrionale di collaborazione, di facilitazione, di attività. Un gesto, insomma, che si offre come improvvisa saldatura di definitivo e iniziale. Il mondo in cui viviamo ci espone a una condizione estrema di apertura, la rincorsa delle possibilità ci sottrae sempre di più l’oggetto da arpionare, trascina come su un nastro il nostro desiderio ma niente “ci viene dato in pasto”. Acquista forza quindi il progetto di contrastare questa penuria, questo stato di sospensione che trattiene tra le sue maglie il desiderio, portando in primo piano quelle esperienze in cui il campo viene saturato da un’offerta e lo sguardo si posa, si lascia cadere. “Vuoi guardare? Tieni vedi questo” avrebbe detto Lacan.
Silvia Vizzardelli (Torino 1967) è docente di Estetica e Filosofia della musica nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria. Il suo ambito di ricerca comprende i rapporti tra estetica e teoria delle arti, e negli ultimi anni si è aperto ai temi a cavallo tra estetica e psicoanalisi. Tra le sue pubblicazioni in volume: Filosofia della musica (Roma-Bari 2007), Verso una nuova estetica. Categorie in movimento (Milano 2010). Per Quodlibet: Battere il tempo. Estetica e metafisica in Vladimir Jankélévitch (2003) e, curato insieme a Felice Cimatti, Filosofia della psicoanalisi. Un’introduzione in ventuno passi (2012).