Traduzione di Paolo Nori
Uscito dalla stazione Savelskaja avevo bevuto per cominciare un bicchiere di vodka del Bisonte perché so per esperienza che, come decotto mattutino, il genere umano non ha ancora inventato niente di meglio.
Questo romanzo, che Erofeev chiamava «poema ferroviario» perché si svolge in uno stato di estasi superalcolica tra la stazione di Mosca e quella di Petuškì, è stato uno dei libri più letti nella Russia dell’ultima era sovietica; circolava clandestinamente di lettore in lettore dal 1973, e fu pubblicato quello stesso anno in Israele in russo. In Russia fu ammesso ufficialmente e integralmente solo dopo il 1990, incontrando un successo e un apprezzamento enorme (Limonov ne parla con malcelata invidia e denigrazione): sembra che per desiderio dell’autore il libro dovesse costare quanto una bottiglia di vodka. Romanzo più che mai illustrativo dell’insofferenza per il regime morente, e del sordo, sotterraneo, costante boicottaggio messo in atto dalla popolazione, in particolare dalla larga popolazione di alcolizzati. La traduzione di Paolo Nori gli restituisce la vivezza del parlato anche gergale e la soffusa tragica comicità.
Venedikt Erofeev è nato nella penisola di Kola, oltre il circolo polare artico, nel 1938, ed è morto a Mosca nel 1990; in vita ha fatto vari mestieri, tra i quali il disoccupato (in Unione Sovietica, dove la disoccupazione non esisteva), a lungo è stato senza fissa dimora (in Unione Sovietica, dove non si poteva essere senza fissa dimora); oggi grazie a questo romanzo, tradotto in più di trenta lingue, è uno dei più conosciuti, imitati, ammirati, odiati, calunniati, malsopportati autori russi del Novecento.