Tanto la storia del pensiero giuridico che il senso comune hanno costretto la finzione al ruolo di principale antagonista della realtà, dei fatti, dell’ordine naturale e vero delle cose. L’assidua frequentazione della fiction, da un lato, e l’evidenza naturale considerata come un limite o un ostacolo alle operazioni del diritto e della tecnica, dall’altro, ne sono senz’altro le più palmari e longeve eredità. Contro queste tradizioni, Yan Thomas – in un saggio densissimo che annoda stile e metodo in modo unico – offre una vera e propria contro-storia della fictio. Mobilitando i casi che occuparono i giuristi romani, Thomas restituisce la finzione al suo statuto di tecnica eminente del diritto. Più vera del vero, la finzione è quell’arnese che i giuristi hanno impiegato per escogitare soluzioni che la “natura” o il senso comune sembravano dichiarare impossibili. Solo nel medioevo, assecondando un cambiamento di portata antropologica, la natura finirà per imporre i suoi “limiti” alla creatività così tipica del diritto romano e al modo tanto speciale che esso aveva di “creare” il mondo per trasformarlo. Questo drastico cambio di passo è indagato da Yan Thomas con tutto il rigore e la spregiudicatezza che caratterizzano il suo gesto teorico. I “naturalismi”, vecchi e nuovi, che oggi ingombrano il dibattito pubblico con la forza apparente dell’evidenza trovano in questo saggio una smentita cocente e un potente antidoto.
Yan Thomas (1943-2008), storico del diritto romano, è stato directeur d’études all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. È autore di saggi sulla storia della finzione giuridica, sulla costruzione giuridica della natura, sul soggetto di diritto e sulla proprietà. Presso Quodlibet sono apparsi Il valore delle cose (2015, 2022), Fictio legis. La finzione romana e i suoi limiti medievali (2016), L’istituzione della natura (con Jacques Chiffoleau, 2020) e La morte del padre. Sul crimine di parricidio nella Roma antica (2023).